Fallita la Idb, nuovi guai per chi ha investito in diamanti
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Economia

Fallita la Idb, nuovi guai per chi ha investito in diamanti

Molti clienti delle banche cercano ancora di riottenere i soldi investiti nelle pietre. Che però sono finite nella procedura fallimentare

Rischia di trasformarsi in un incubo kafkiano la vicenda dei risparmiatori che hanno investito i loro soldi nei diamanti. Perché non solo molti di loro fanno ancora fatica ad ottenere una forma di risarcimento dalla banca che li ha convinti ad acquistare un prodotto che vale meno di quanto promesso, ma adesso si trovano pure ad affrontare le conseguenze del collasso di una delle società coinvolte nella vendita delle pietre. Il 15 gennaio scorso il tribunale di Milano ha dichiarato infatti il fallimento della Intermarket Diamond Business (Idb), una delle due aziende attive nel collocamento di diamanti attraverso l’intermediazione delle banche. Il problema è che la maggioranza degli investitori aveva deciso di non ritirare le pietre (anche per ragioni di sicurezza) lasciandoli in custodia alla società e ora, essendo quest'ultima fallita, dovrebbero rivolgersi al curatore per tornarne in possesso.

"In verità" sottolinea l'avvocato Letizia Vescovini, specializzata nella difesa di risparmiatori, "la situazione è resa ancor più complicata dal fatto che molti clienti sono convinti che le loro pietre siano in banca, non avendo controllato con attenzione i vari moduli che avevano firmato all'atto dell'acquisto". Il problema del fallimento della Idb riguarda soprattutto i clienti del gruppo Bpm, la banca che più di tutte ha piazzato i diamanti, più o meno l'80% del totale (si parla di circa 600 milioni di euro intermediati). Gli altri istituti, come Intesa, Unicredit o Mps, avendo meno clienti coinvolti nella vicenda hanno deciso di chiudere la partita risarcendo al 100% i risparmiatori e tendendosi le pietre.

Il gruppo Bpm invece prende tempo, forse perché ha una massa molto più grande di clienti: "In genere questa banca propone al risparmiatore la restituzione dei diamanti più il 30% della cifra investita, percentuale che in corso di trattativa può salire fino al 60%" racconta Vescovini, alla quale si sono rivolti un centinaio di clienti Bpm, alcuni dei quali con investimenti superori a 200 mila euro. "Quindi il risparmiatore per riavere i diamanti della Idb deve fare un'istanza al curatore fallimentare. E quest'istanza va fatta, per motivi tecnici, entro l'8 marzo. Ma tanti clienti non sanno neppure che la Idb è fallita e rischiano così, in teoria, di perdere la proprietà delle pietre". Nel frattempo, scomparsa la Idb, la Bpm potrebbe trovarsi con il classico cerino in mano, unico bersaglio delle eventuali cause dei risparmiatori.

Nell'investimento in diamanti sarebbero stati coinvolti oltre centomila italiani, convinti dai funzionari bancari a investire in un prodotto che apparira sicurissimo. Invece il prezzo pagato era molto più alto del valore delle pietre. Una differenza dovuta non solo a una ottimistica valutazione delle pietre da parte del venditore, ma soprattutto a una serie di spese comprese nel prezzo dei diamanti che non erano a conoscenza né del cliente, né, a quanto pare, delle banche: come ha scoperto l’Antitrust in una sua indagine che ha portato alla condanna di alcune banche, al costo della pietra all’origine si aggiungono infatti altri oneri tra cui i costi doganali e di trasporto (1-5 per cento), il margine per la società (20-40 per cento), la commissione della banca (10-20 per cento), l’Iva del 22 per cento. Così il diamante rappresenta, se va bene, solo il 30-40 per cento dell’investimento complessivo. «Nel materiale promozionale diffuso» nota l’Antitrust «non è presente alcuna indicazione che rappresenti, seppure a grandi linee, che il costo di acquisto della pietra ha una incidenza minoritaria sul prezzo totale di acquisto».

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Guido Fontanelli