Edward Luttwak e le tangenti all'estero: ci vuole realismo, non manette
Economia

Edward Luttwak e le tangenti all'estero: ci vuole realismo, non manette

Sono spesso necessarie, ma per evitarle deve essere il governo a trattare i grandi affari. Come si fa negli Stati Uniti

L’affaire Finmeccanica ripropone un quesito: è possibile concludere affari internazionali senza pagare commissioni più o meno opache? L’economista americano Edward Luttwak conosce bene la realtà indiana: l’attuale ministro della Difesa di Nuova Delhi, Ak Antony, lo ha reclutato in un gruppo di studiosi internazionali per supervisionare l’applicazione di un pacchetto di riforme anticorruzione. Secondo Luttwak, in alcune aree del mondo le tangenti sono l’unico modo per entrare in mercati ricchi ma corrotti. L’alternativa è restarne esclusi.

Ma i compensi per agenti locali e mediatori sono da qualificarsi come tangenti?
Nella maggior parte dei casi i mediatori non fanno alcun tipo di mediazione. Il mediatore locale è una figura inventata perché di fatto è colui che raccoglie le tangenti per il principe. Non svolge alcun servizio e naturalmente pretende una percentuale sulla somma da consegnare al destinatario.

In quali aree del mondo le mance sono una via obbligata?
In molti paesi. L’unico luogo però dove insieme alle tangenti ci sono anche molti soldi è Il mondo arabo. Nel settore degli armamenti gli americani non pagano tangenti perché concludono contratti GtoG (government to government), col risultato che nei paesi arabi non c’è un venditore americano, ma il Boeing F-15, per esempio, è venduto all’Arabia Saudita dall’ufficio della forza aerea americana stanziata in quel paese. Gli europei sono entrati in questo mercato proprio perché pagano tangenti, altrimenti i paesi arabi interessati ad avere la protezione militare americana comprerebbero quasi esclusivamente dagli Stati Uniti.

Il caso Finmeccanica è scoppiato in India. Anche lì si vende solo con tangenti?
In India non c’è bisogno di pagare tangenti, però occorre velocizzare la lentissima macchina burocratica. La legge non consente di inserire commissioni nel contratto commerciale. Si pagano fee agli agenti locali che si occupano dei numerosi adempimenti burocratici. Del resto,  conviene di più assumere un gruppo locale, riconoscendo compensi modesti, piuttosto che caricare l’ufficio Finmeccanica a New Delhi di mille ulteriori addetti.

L’India però non è stata esente da scandali per corruzione. Il caso Bofors, che colpì anche il primo ministro Rajiv Gandhi, è ancora impresso nella memoria collettiva.
Proprio sulla scorta di quegli episodi l’India ha avviato una profonda svolta. L’attuale ministro della difesa, ribattezzato «Saint Antony», si è avvalso anche di consulenze internazionali per riformare la burocrazia nazionale. Oggi ai funzionari è vietato partecipare anche solo a una colazione senza pagare il conto e molte donne sono state inserite nell’alta burocrazia.

Tornando alla Finmeccanica: l’India ha cancellato i contratti per i 12 elicotteri Agusta.
I contratti non sono stati cancellati ma sospesi, nel frattempo gli indiani stanno acquisendo elementi di conoscenza sull’accaduto. Quel che è certo è che, se tangenti sono state pagate, non sono arrivate né al ministro né al viceministro. Le avranno intascate persone esterne senza influenza sull’acquisto.

L’inchiesta sulla Finmeccanica si inserisce in una serie di iniziative giudiziarie che hanno colpito il tessuto industriale italiano.
Ho notato la spregiudicatezza di diverse operazioni. Mi riferisco al caso Eternit: la tragedia dell’amianto non colpì solo l’Italia, ma soltanto in Italia un’intera industria è stata criminalizzata. Penso alle accuse di omicidio nei confronti dei vertici della Thyssenkrupp, al caso Ilva e naturalmente all’Eni. Le assicuro che all’estero si rimane esterrefatti di fronte a certe esorbitanze giudiziarie. Tutti sanno, per esempio, che non è possibile operare in Algeria senza pagare mance al colosso pubblico Sonatrach.

Quali sono gli effetti invisibili di questa carrellata giudiziaria?
A parte il forte impatto economico, c’è un effetto disincentivante per gli investitori esteri, impauriti dall’arbitrio e dalla volatilità della giustizia italiana. Ne consegue poi un grave danno di reputazione per imprese che devono competere su mercati internazionali, si insinua l’idea di una presunzione di colpevolezza degli italiani: se ce la fanno è perché hanno pagato. Si può decidere, come ha fatto il Giappone, di esportare tutto fuorché armamenti. Oppure scegliere la formula americana GtoG. Altrimenti un’impresa come la Finmeccanica, per cui la domanda interna non basta, deve necessariamente esportare e pagare mance.

È vero che in Francia c’è una diffusa tolleranza verso le tangenti all’estero?
È vero, i francesi si preoccupano esclusivamente di evitare il «back flow», cioè che le tangenti tornino in patria a rimpinguare le tasche di funzionari e ministri francesi. Infatti, per i sottomarini venduti al Pakistan, lo scandalo ha investito politici di primo piano accusati di avere intascato retrocommissioni.

Nel Regno Unito invece è l’esecutivo a dettare la linea...
Quando nel 2006 Scotland Yard trovò le prove delle immense tangenti versate dalla Bae per vendere cacciabombardieri all’Arabia Saudita, il primo ministro Tony Blair annunciò in una conferenza stampa che quell’inchiesta doveva essere interrotta in nome dell’interesse nazionale. Blair disse chiaramente che con gli arabi non è possibile prendersi il lusso di applicare la legge, e fu bersagliato dalle critiche dei moralisti. Negli Stati Uniti sarebbe stato impossibile perché il ramo giudiziario è nettamente separato dall’esecutivo.

Quali sono le pene negli Stati Uniti?
In base al Foreign corrupt practices act, l’azienda che paga mance è sanzionata con multe per corruzione e per il conseguente falso in bilancio. Le persone che materialmente prendono parte, o sono anche solo al corrente della condotta illecita, pagano con la prigione da 5 anni in su, e ci vanno il giorno dopo la pronuncia della sentenza di condanna.

In Italia è più facile finire in galera prima del processo. L’ex presidente della Finmeccanica Giuseppe Orsi è stato fra i protagonisti di un’autentica retata nazionale. Queste persone dovrebbero essere portate dinanzi a un magistrato e dovrebbero poter pagare una cauzione per tornare a casa. Tenerli dentro è una forma di tortura giudiziaria. Le presunte prove sono contenute in grandi strutture burocratiche difficilmente accessibili per persone nella sua posizione, e comunque esistono misure meno invasive in grado di controllare la mobilità delle persone. In Italia, invece, prevale lo  spirito giacobino dei magistrati. Così alla tortura di processi interminabili, si unisce la tortura della galera ingiustificata.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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