Dalla Bocconi a Shanghai con il winebar
Economia

Dalla Bocconi a Shanghai con il winebar

L'iniziativa di due giovani bocconiani: dal locale di degustazione a una società di import-export. Un salto senza rete

Una piccola storia. Piccolo investimento, break even raggiunto in un paio di mesi, soci 25enni, piccola avventura. Ma interessante per le grandi visioni e perché ancora una volta dimostra che a vincere spesso è la libera iniziativa. Senza cordate, missioni estere, doppi passaggi burocratici italo-cinesi o la ricerca di finanziamenti garantiti.

È possibile? L’iniziativa di Ivan Icardi e Piercarlo Panozzo, freschi freschi di Università Bocconi, ce lo dimostra: il loro winebar Uva, inaugurato ufficialmente a giugno nel centro di Shanghai, è già in pareggio. I conti sono positivi e la cassa tintinna, tanto che dopo l’avventura del “locale e del gusto italiano” stanno già pensando a organizzare una società di import-export di vini su vasta scala.

“Io e Piercarlo ci siamo incontrati in Bocconi” racconta Ivan Icardi “Io provengo da una famiglia di viticoltori e vignaioli dell’Astigiano. Ho sempre discusso e portato vini alle cene. Piercarlo è invece italo-cinese ed ha terminato gli studi con un master in management proprio in Cina. L’idea è nata quasi spontaneamente. Lo scorso dicembre abbiamo individuato la location giusta e siamo partiti”.

L’investimento è stato di appena 100mila euro, prestati dalle famiglie. E per lanciarsi è servito soltanto l’aiuto di un consulente locale: “Ottenere un permesso di soggiorno è facile e veloce, ma la burocrazia in Cina è complessa. Tanto da farci temere che non saremmo mai riusciti a partire”.
Per fortuna, il consulente è servito. E il wine bar “Uva” è stato inaugurato costituendo una società a capitale estero, “non cinese, altrimenti avremmo avuto bisogno di un partner locale” aggiunge Icardi.

Se le famiglie non avessero spalleggiato i giovani imprenditori, le banche li avrebbero finanziati? Sarebbe stata possibile una simile avventura senza passare attraverso camera di commercio, confidi o missioni estere consortili? La risposta non è scontata, anche se il business ha tutte le carte in regola: ampio mercato in una città popolosa e ampi margini, quelli che un prodotto come il vino e il food made in Italy riescono ancora a garantire. “Posso soltanto dire che per noi i contatti con la Camera di commercio sono importanti per sviluppare il business, ma i tempi di reazione individuali forse sono più veloci. E’ naturale che sia così”.

Uva ormai è uno dei locali meglio frequentati di Jiang an Temple, zona centrale e residenziale di Shanghai. I cinesi  preferiscono alle bruschette, alla pasta o alle salamelle la pizza con il prosciutto di Parma, bevono preferibilmente rossi veneti e bianchi friulani (chardonnay). E i winebar stanno nascendo come funghi: “In poco tempo abbiamo visto aprirne in zona tre francesi, una birreria e un nuovo locale gestito da Enoterra,  la prima società a credere nel potenziale del vino italiano in Cina”.

Qualcuno dall’Italia, fondazione, consorzio o ente nazionale, ha contatto i due ragazzi per creare insieme con loro una network virtuoso? La risposta è no. “Ma forse è ancora troppo presto, siamo piccoli e abbiamo appena aperto” chiosa Ivan. Eppure, i due ragazzi avrebbero qualcosa da insegnare.

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