E D'Alema diventò «amico» di Renzi
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E D'Alema diventò «amico» di Renzi

Il «líder Maximo» offre al sindaco di Firenze di traslocare a Palazzo Chigi. Ora. Per evitare che Romano Prodi salga al Quirinale a consumare antiche vendette

Alla fine di marzo Walter Veltroni, inventore del Pd, lanciò una previsione: «Il Pd di questi tempi somiglia molto all’ultima Dc. Dilaniato dai personalismi, diviso su tutto si prepara all’elezione del nuovo presidente. Sembra la Dc del 1992. Quella che elesse Oscar Luigi Scalfaro e poi in pochi anni sparì». Non è un paragone azzardato. Pier Luigi Bersani ha condotto il partito in un vicolo cieco, ancora oggi spera nei grillini per andare al governo e rifiuta un’alleanza vera con il Cav. «Io» ripete «un governo col Pdl non lo farò mai. A costo di andare al voto. E anche in quel caso resterò in campo».

Poi c’è un esercito di capicorrente con i loro disegni e le loro ambizioni personali. Sembrano gli Andreotti, i Forlani, i De Mita di una volta. C’è Franco Marini, l’ecumenico, che dai tempi della presidenza del Senato ha relazioni dirette col Cav. La sua visione di capo dello Stato è rassicurante per tutti: «Ho sempre pensato» va dicendo «che debba essere un notaio». Per lui lavorano gli ex popolari come Dario Franceschini e Giuseppe Fioroni, ed è convinto che il prosieguo della legislatura sia vincolato all’alleanza Pd-Pdl: «In politica si deve essere pragmatici, me l’ha insegnato il sindacato».

Altro mago del pragmatismo è Giuliano Amato, solo che nel Pd è considerato un corpo estraneo. «Ha un solo king maker, Giorgio Napolitano» dice un giovane pd di provenienza dalemiana. Già, Massimo D’Alema... Stavolta s’è messo d’impegno per arrivare al Quirinale. Ha fatto il viaggio negli Usa alla vigilia del voto. Ha fatto da sponda a Napolitano nei tentativi di riportare alla ragione Bersani. Ha inviato emissari a Matteo Renzi e Berlusconi, tramite Gianni Letta. L’ultimo contatto tra i due è stato un colloquio telefonico mentre il «líder Maximo» era a casa del cuoco preferito, Gianfranco Vissani. All’ex nemico Renzi, Baffino ha fatto la classica proposta che non si può rifiutare: andare a Palazzo Chigi sin d’ora.

Insomma, D’Alema è pronto a offrire qualcosa di buono a tutti. «Il Cavaliere» confida Ugo Sposetti «deve fidarsi di Massimo. Altrimenti rischiamo di beccarci uno Scalfaro, un madonnaro. Se mi chiedono di votare uno così, straccio la scheda». Chi è il personaggio in questione? Ovvio, Romano Prodi. Se il Cav lo considera il peggiore dei mali, D’Alema non è da meno: dal Quirinale il Prof forgerebbe il Pd a sua immagine, vendicandosi (ha la memoria d’elefante) anche di D’Alema, Marini e soci con cui non è mai corso buon sangue. Resta l’incognita Renzi. Il sindaco di Firenze teme di fare la fine dell’eterna promessa. Così il suo obiettivo è arrivare in breve a Palazzo Chigi, a costo di rischiare il voto a giugno. O in alternativa (ma non è convinto) prendersi il Pd. Sarà il king maker di ogni presidente che assecondi i suoi piani. «Da buon ex dc» dice uno dei suoi «è pronto a trattare con Prodi e con D’Alema, o con l’outsider di turno.

È lo stesso spirito che lo ha portato a dialogare con Berlusconi. Prima di sferrare l’attacco sul Corriere della sera contro la linea di Bersani, ha avvertito Denis Verdini». E arriviamo agli outsider che popolano il Pd. Sono un’infinità: donne, da Anna Finocchiaro a Rosy Bindi, a Laura Boldrini; ma anche personaggi come Pietro Grasso o Rodotà. Tanti nomi, troppi. Il Pd in queste condizioni è già esploso, anche se non lo sa.

di Keyser Söze

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