Padre Pio e gli 'affari' di fede
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Padre Pio e gli 'affari' di fede

Il corpo a San Giovanni Rotondo e il cuore conteso da Pietrelcina. La contesa sulle spoglie di padre Pio

Il cuore a Pietrelcina, il corpo a San Giovanni Rotondo, le pezzuole a Buenos Aires. Si contendono i resti del santo già squartato e sventrato dopo la morte, le viscere di Padre Pio come un’asta fra il Comune di San Giovanni e quello di Pietrelcina.

C’è chi si è portato gli scaracchi, chi le croste delle mani, chi i peli della barba, chi i denti, chi ha tentato di trafugare i guanti, e non c’è casa di San Giovanni Rotondo che non abbia fazzoletti impregnati di sangue, o ritagli di saio che non siano stati sparsi per il mondo.

I cappuccini sono pronti a trasportare il cuore del miracolo lontano da questa cripta, da questa chiesa ideata da Renzo Piano che adesso non piace a nessuno e che a parere di alcuni fedeli assomiglia a un garage. «È il cuore che fa il corpo, non il corpo che fa il cuore, perché separarlo?» dice Marilena Pastore, catechista di Lecce in fila di fronte alla maschera di silicone del santo.

Neanche Renato Simoni, che viene qui 10 volte l’anno, sapeva che il corpo imbalsamato di Padre Pio fosse stato scisso nel 2008: spoglie da una parte e muscolo dall’altra, secretato come un bottino, un buono di banca. I cappuccini guidati da frate Antonio Colacelli, ministro provinciale, lo vogliono assegnare alla povera Pietrelcina, che del santo ha solo l’orgoglio di avergli dato i natali. Ma potrebbe diventare perfino una reliquia itinerante come la Venere di Morgantina, non escludono
i frati che amministrano memoria e profitto di Padre Pio: su spoglie, viscere, indumenti detengono il possesso inalienabile. Questosmembramento del santo sbigottisce e atterrisce anche i laici che accedono al santuario numerosi quanto i devoti.

Per Padre Luciano Lotti, seduto nel refettorio dove mangiava l’altro Cristo di San Giovanni, «sono scelte previste dal diritto ecclesiastico, la gente ha bisogno di vedere. La fede si deve toccare. Non è da eretici.
Quel cuore era separato nel momento in cui è stato esumato e poi era lo stesso Padre Pio a dire: “Abbiamo qualche marmo in più, ebbene diamolo a Pietrelcina”».
Ma si può considerare il cuore uno scarto, le interiora come un avanzo? Quasi tutti i fedeli che a pochi metri dal convento s’inginocchiano e venerano Padre Pio avvertono il raccapriccio a sentir parlare della spartizione come un manuale Cencelli della devozione. In questo paese non può essere tanto più accettata la dissezione. Rimane infatti ancora la terra del rimorso di Ernesto De Martino, dove la religione è quel feticismo che lo stesso frate perdonava: «Sapete meglio di me che cosa siano le passioni religiose di popolo ardente e d’istinti ancora primitivi».

Non lo vogliono strappato da morto come non volevano che fosse allontanato da vivo, al punto da dire: meglio morto fra noi che vivo per gli altri. Ed è altrettanto chiaro che non si sottrarrebbe solo una reliquia insigne, ma anche la garanzia di una tranquillità economica che ha permesso a questo borgo del Gargano di allontanare la povertà millenaria.

Nel giro di pochi anni San Giovanni Rotondo si è trasformato in un ibrido inguardabile più sguaiato della Roma della Grande bellezza di Paolo Sorrentino.

San Giovanni è oggi la prova dell’inflazione della santità, una grande bolla finanziaria con i grani del rosario. Sono troppi pure per un santo come Padre Pio i 6.200 posti letto, i 166 alberghi, gli oltre 300 ristoranti che dal processo di beatificazione i residenti non hanno smesso di costruire, convinti che un santo fosse un pozzo di petrolio inesauribile e i 20 mila bus del 2008 un fenomeno che si po-tesse superare. È un sacrilegio pure il metodo con cui sono state assegnate le concessioni edilizie, con le ostie prese a unità di misura dei flussi turistici, che ora si attestano a numeri da pellegrinaggio, ma non da giubileo.

Non è servita l’autorevolezza dell’irritato Piano, che si è opposto alla razzia indiscriminata di questa terra santa, ai troppi alberghi che Pietro, ristoratore del centro storico, non esita a definire come le Punte Perotti di San Giovanni: «Quel pezzo di paese sembra Manhattan». Stanno ritornando agli istituti di credito alcuni di questi alberghi costruiti a cavallo tra il ’98 e il 2000, quando la beatificazione di Padre Pio si è manifestata come corsa all’oro che ha fatto raddoppiare i posti letto da 1.500 a 4.531.

Si difende questa San Giovanni-Rimini che non ha nulla a che vedere con il bellissimo borgo che ancora resiste come un paese dentro una bottiglia, si difende la nuova San Giovanni dal rischio dell’esodo verso la vergine Pietrelcina: non c’è solo il muscolo della grazia. Comprensibile che per il sindaco, Luigi Pompilio, sarebbe un espianto doloroso. Proprio ora che è stato chiamato a proteggere la ragione sociale del paese, forte di un testamento di Padre Pio in cui esprimeva la volontà che le sue ossa riposassero qui, e di un accordo del 2010 dove si confermava la decisione di non trasportare le spoglie fuori dalla città.

«La bilocazione del santo provocherebbe confusione e smarrimento tra i fedeli. I frati hanno sottoscritto un documento. Non vale più?».

Quel foglio ora viene demolito con una sfumatura del lessico: «Si parlava di spoglie…» replica Padre Lotti. «Che facciano un po’ ciascuno, ce n’è per tutti» sentenzia, nella cripta in cui riposa il santo, l’ingobbita Mirella, anche lei accecata dai mosaici che i visitatori fotografano forse più della salma, dallo sfarfallio delle tessere a foglie d’oro dell’artista sloveno Marko Ruptnik che abbacinano, con i turiboli che pendono dal soffitto.

La spiritualità che piacerebbe al nuovo Papa Francesco viene ora ricercata nella chiesa più antica senza quel gracchiare di musica in sottofondo che nel santuario disturba sia il  santo sia le preghiere. È lì che i pellegrini costanti e silenziosi alle 8 del mattino aspettano l’eucarestia distribuita da un pretino inglese, l’unico uomo di chiesa ben distinto in un paesaggio per il resto affidato alla sicurezza di guardie private. Non si vedono frati aggirarsi nei confessionali, come non c’è il loro saio che striscia per terra, il cordone che stringe la loro vita. Perfino le benedizioni sono state appaltate a padre Giona del Togo.

Ma padre, si può portare il cuore lontano dal corpo? E lui ride: «Giornalisti, no giornalisti, no, non... conosco... ehm».

«Il suo cuore è rimasto nella chiesa piccola» suggerisce Dora Ciaravella, che non dà più di tanta importanza al corpo, al contrario di come fa un abitante di Pietrelcina che avrebbe tutti i motivi per rivendicarlo. «Non si smontano i santi e io vorrei che venisse lasciato qui nonostante sia di Pietrelcina».

Non c’entra nulla Pietrelcina con questo casinò della fede, paese ancora conservato come un presepe. Sono quasi briciole i 500 mila pellegrini, i tre grandi alberghi, i 20 ristoranti rispetto ai 5 milioni che visitano il santuario del Gargano. Solo padre Gerardo Saldutto, l’uomo che ha lavorato al nuovo santuario progettato da Piano, la sogna come la grande Pietrelcina. Lui che nel paese campano ha un ufficio da capocantiere. È questo frate che dirige i lavori degli imbianchini che restaurano la chiesa in cui viene conservata un’altra reliquia di Padre Pio, un osso della gola: ma più che un frate sembra un palazzinaro, un tesoriere di partito, tanto da essere perdonato sebbene nel 1994, nelle vesti di economo dei cappuccini di Foggia, abbia perso 5 miliardi di lire di offerte date dai fedeli in memoria del santo. Saldutto le ha consegnate per moltiplicarle a un faccendiere
fallito poi per bancarotta.

«Io preparo il terreno» dice Saldutto. «Padre Pio diceva: San Giovanni da vivo e Pietrelcina da morto. Questo piccolo paese ha vissuto del riflesso di San Giovanni, ha sonnecchiato anche per indolenza. Si sono accontentati di poco, non hanno uno slancio d’aquila. Hanno avuto tutto i sangiovannesi anche senza meritarlo, è giusto che abbiano qualcosa anche qui. Abbiamo i terreni e li utilizzeremo, se ci sarà da costruire si costruirà».

Si riconosce qui il paese poverissimo del frate, i canestri di giunco nella sua casa avita, i soffitti sfrondati. Forse il prossimo miracolo di Padre Pio sarebbe quello di mantenere la sua Pietrelcina ancora la Pietrelcina di questi campani abituati alla modestia, alla canicola attesa sull’uscio. Se ne sono accorti pure a San Giovanni che si è incrinato un modello, tanto da accusare i frati di delocalizzazione e di servirsi dei numerosi lasciti che possiedono a Pietrelcina per intraprendere un new deal edilizio. Non ha difficoltà a confutarle padre Lotti queste che reputa le solite accuse fra Dio e Mammona.

«Ci accusano che lo facciamo per i soldi, ma siamo 20 frati e ci guadagniamo il pane. Nelle sacre scritture Dio porta benessere e anche i santi fanno lo stesso. Poi è chiaro che dove ci sono i soldi ci sono i miraggi.
Stiano tranquilli a San Giovanni, Pietrelcina rimarrebbe la succursale». Sarebbe una succursale la piccola Pietrelcina, come in un piano industriale, e le reliquie pezzi che i frati ridistribuiscono sul territorio, come del resto si è fatto pure con quel martire cristiano dell’antimafia che è don Pino Puglisi, cui hanno già tolto la costola.

Anche chi non crede non può che provare fastidio di fronte a questa scomposizione di un miracolo che rischia di offuscare la grandezza della rivelazione. Ed è vero quello che scriveva Antonio Fogazzaro nel suo Il santo: «Era fede, era dentro un rude involucro il senso negato alle menti superbe».

Sarebbe sbagliato considerare come un itinerario turistico la fiducia dei devoti nelle stimmate miracolose. Qui il miracolo esiste fuori dal corpo di Padre Pio ed è misurabile nelle strumentazioni mediche dell’ospedale Casa del sollievo e della sofferenza, un’unione di scienza e fede costruita per volere del frate e che Giulio Siena, tra i pochi che hanno spartito le proprie giornate con Padre Pio, oggi responsabile della comunicazione della Fondazione Casa sollievo, ricorda come la cosa di cui andava più orgoglioso.

Anche Siena, che pur giustifica qualsiasi scelta, ammette: «Padre Pio aveva molto rispetto del corpo, lo considerava il tempio dello spirito».

Se proprio il cuore deve essere custodito da qualcuno, è probabile che il suo, il frate, lo avrebbe riposto all’interno di quest’ospedale, o lo avrebbe donato alla ricerca scientifica. Non si chiede indietro un occhio della Gioconda, un suo naso, per fare un’appendice del Louvre in Italia, e non si stacca la metà di una foto. I resti semmai si disperdono al vento o nel mare, non si conservano divisi. Solo chi rinuncerà a questo pezzo di Padre Pio potrà rivendicare la maternità del santo come le madri di Salomone. Solo chi lo rifiuterà diviso lo conserverà ricongiunto.

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Carmelo Caruso