I due motivi per cui il film sull'assassinio di Kim Jong-Un piace a Pyongyang
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I due motivi per cui il film sull'assassinio di Kim Jong-Un piace a Pyongyang

The Interview è la pellicola perfetta per dimostrare al mondo che la Corea del Nord ha imparato l'arte dell'ironia e che gli americani sono sporchi, violenti e maledetti

Sono stati tanti i giornali che hanno raccontato che, appena un paio di giorni fa, la Corea del Nord avrebbe per l'ennesima volta confermato di non gradire qualsiasi tipo interferenza o commento su quello che succede all'interno del paese. Questo perché un portavoce del regime guidato oggi da Kim Jong-Un, il nipote del dittatore Kim Il-Sung che lo ha fondato nel 1948, avrebbe condannato a mezzo stampa l'irriverente film d'azione americano The Interview per aver osato mettere in scena niente meno che l'assassinio del giovane sovrano.

Dal cast che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con la commedia Facciamola Finita, pensata per mettere a nudo l'ipocrisia su cui si fonda e si regge la grande macchina di Hollywood, possiamo aspettarci solo un altro lavoro farcito di battute e situazioni politicamente scorrette, e infatti il trailer della nuova pellicola che arriverà nelle sale ad ottobre conferma che saranno proprio questi i toni del film diretto da Evan Goldberg e Seth Rogen.

Questa sorta di parodia del regime più impenetrabile del pianeta è incentrata sulla storia di un presentatore e di un produttore di talk show che ottengono miracolosamente l'autorizzazione a realizzare in esclusiva mondiale un'intervista a Kim Jong-Un. L'entusiasmo iniziale si trasforma in paura prima ed eccitazione poi quando la Cia li contatta per chiedere loro di assassinare quello che considera uno degli uomini più pericolosi del mondo. La scelta di descrivere la (presunta o confermata, a seconda dei punti di vista) personalità eccentrica del giovane dittatore raccontando le sue manie in maniera più o meno realistica, perché oltre alla passione per hamburger e scarpe da ginnastica Kim Jong-Un viene presentato anche come uomo in grado di parlare con i delfini e di non dover mai fare uso del bagno, avrebbe naturalmente aggiunto altra benzina sul fuoco delle polemiche.

Kim Myong-Choi, il portavoce che ha dichiarato a The Telegraph che il nuovo film di Goldberg e Rogen è solo una delle tante dimostrazioni del livello di profonda disperazione che contraddistingue il governo e la società americana, ha spiegato che dal punto di vista di Pyongyang un film sull'assassinio di un leader straniero non fa altro che rispecchiare "ciò che gli Stati Uniti hanno fatto in Afghanistan, Iraq, Siria e Ucraina". Sbilanciandosi poi nel dare consigli a Barack Obama, ricordando che sono stati gli americani ad uccidere il Presidente Kennedy, e che, quindi, anche lui farebbe bene a fare attenzione ad eventuali atteggiamenti, prese di posizione e movimenti sospetti del suo esercito. Concludendo che, nonostante tutto, Kim Jong-Un guarderà sicuramente questo film, senza tuttavia dimenticare di precisare che il regime considera le pellicole di James Bond molto più gradevoli e avvincenti.

Se la reazione di Pyongyang è stata davvero questa, quello che ci dovrebbe davvero preoccupare non è tanto il tono con cui il regime ha condannato The Interview, quando la sua capacità di sfruttarne in maniera esemplare le potenzialità a livello di propaganda sia in patria che all'estero. Più che una condanna, infatti, i commenti rilasciati da Kim Myong-Choi ai giornalista di The Telegraph sembrano una risposta ironica se non altrettanto irriverente al lavoro di Goldberg e Rogen. Pyongyang suggerisce a Barack Obama di stare in guardia e fare attenzione al suo esercito? Kim Jong-Un conferma indirettamente l'intenzione di guardare un film in cui va in scena il suo assassinio? Il regime fa addirittura una battuta sui classici di James Bond? Beh, diciamo che non sono certo questi gli standard di comportamento cui la Corea ci aveva abituato. Cosa è successo? Il giovane dittatore sta imparando l'arte dell'ironia? O la utilizza per far sapere al mondo che non gli interessa ciò che si pensa (o si immagina) di lui all'estero perché nessuno straniero riuscirà mai a capire cosa significa vivere in Corea del Nord. Anzi, l'ennesimo tentativo di deridere i componenti della dinastia Kim è stato trasformato, in patria, in utile strumento per confermare come gli occidentali in generale, e gli americani in particolare, siano "sporchi", "violenti" e "maledetti". Insomma, un popolo che, come i leader nordcoreani hanno sempre sostenuto, va tenuto alla larga, insieme a tutte le tecnologie "maligne" che ha via via sviluppato.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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