Diserzioni nell’esercito ucraino, in 400 sconfinano in Russia
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Diserzioni nell’esercito ucraino, in 400 sconfinano in Russia

In Ucraina l’assedio alle città dell’Est non sfonda e cresce il malumore tra le truppe, alcune delle quali sono intrappolate dietro le linee nemiche

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Truppe ucraine domenica hanno sconfinato in territorio russo. Un intero battaglione, composto da 438 soldati di cui 164 guardie di frontiera ucraine, ha ottenuto da Mosca il permesso di entrare nell’Oblast di Rostov, al confine ucraino con Lugansk, città dell’Ucraina orientale cinta d’assedio dalle truppe di Kiev

La colonna di soldati ha varcato il checkpoint di confine a Gukovo, penetrando in Russia e consegnandosi alle guardie di frontiera di Mosca. Si tratta della 73a brigata di fanteria motorizzata, ma vi sarebbero anche membri della 25esima divisione paracadutisti di stanza a Dnipropetrovsk (Ucraina orientale).

I disertori sarebbero stati temporaneamente alloggiati in una tendopoli approntata nei pressi  del checkpoint e avrebbero ricevuto la prima assistenza, vista anche la difficile condizione di alcuni di loro, tra cui un ferito gravissimo.

“Per due settimane abbiamo combattuto senza munizioni e carburante. Non ho avuto l’opportunità di far mangiare i miei uomini per quasi tutto questo tempo. Il personale era più esausto per questo che per i bombardamenti”, ha riferito ai russi il maggiore Vitaly Dubinyak, comandante del battaglione. 

- La versione ucraina

Da tempo si parlava di diserzioni tra l’esercito ucraino, notoriamente mal rifornito e impreparato a una guerra civile così violenta, voci che però erano finite nel tritacarne della propaganda e disinformazione, e bollate come notizie artefatte per demoralizzare il fronte ucraino. 

Stavolta, però, la notizia è confermata e riconosciuta da ambo le parti, anche se l’alto comando di Kiev ha volto l’episodio in chiave eroica: “Dopo un bombardamento di quattro ore, è stata presa la decisione di aprirsi la strada per superare l’accerchiamento. Una parte delle truppe ha lanciato un attacco. Altri sono rimasti per coprire i loro compagni. Essendo poi rimasti senza munizioni, hanno distrutto i loro veicoli [per non lasciarli in mano nemica,ndr] e sono andati in direzione della Federazione Russa” ha riferito un portavoce.

Ma il maggiore Dubinyak, protagonista della diserzione, ha vissuto l’episodio diversamente e ha accusato direttamente l’alto comando ucraino: “Kiev non ci ha fornito alcuna assistenza. E durante la scorsa settimana, hanno interrotto tutte le comunicazioni. Ci hanno semplicemente scaricato”.

- I soldati di Kiev tagliati fuori dai rifornimenti

I disertori intrappolati dietro le linee nemiche farebbero parte dello stesso contingente che aveva posto l’assedio a Lugansk nel fine settimana, dopo giorni di bombardamenti sulla città, e non delle truppe schierate a Sloviansk, come suggerito da alcune fonti. Questo smentirebbe la notizia secondo cui due giorni fa un grande raggruppamento di forze militari e di sicurezza ucraine era riuscito a circondare Lugansk e aveva avviato trattative con la milizia ribelle per la loro resa. “Le razioni di cibo, acqua e carburante le hanno terminate, rimangono solo le munizioni per un paio di giorni di combattimenti” dicevano pochi giorni fa. 

Oggi, invece, scopriamo essere stati i militari di Kiev ad aver richiesto beni di prima necessità ai russi, una volta attraversato il confine. E la trattativa, semmai, sarebbe stata gestita dai filo-russi per lasciare che il battaglione abbandonasse la propria posizione e andasse ricongiungersi con il resto dell’esercito regolare.

Da diverse settimane, infatti, circa duemila soldati ucraini con 70 mezzi blindati erano rimasti tagliati fuori dai rifornimenti e bloccati a sud-est di Lugansk, tra le zone sotto controllo dei ribelli e il confine con la Russia. I termini per la resa prevedevano la consegna delle armi e delle munizioni ai ribelli e la distruzione di tutti i veicoli corazzati. 

In cambio, le milizie di Lugansk avrebbero garantito un corridoio sicuro per il passaggio dei soldati ucraini e il loro ricongiungimento con gli altri battaglioni schierati nell’Est. Ma la diserzione di una parte di questi mette in serio dubbio le capacità negoziali dei soldati dell’esercito di Kiev. 

“Per salvare gli uomini, i comandanti di unità hanno preso la decisione di attraversare il confine con la Russia. Tutte le attrezzature e le armi dovevano essere lasciate in territorio ucraino. La cosa principale era salvare gli uomini e così abbiamo fatto” ha sottolineato ancora Vitaly Dubinyak.

- Il prezzo della guerra

Da quando il presidente ucraino Petro Poroshenko ha dichiarato la prosecuzione delle ostilità fino alla vittoria finale - l’operazione “anti-terrorismo” è iniziata ormai da più di quattro mesi - 

le guardie di frontiera russe avevano registrato un costante aumento di diserzioni da parte di soldati ucraini (oltre una cinquantina) che tentavano di sfuggire ai combattimenti, vista l'escalation di violenza nella regione di Donetsk e Lugansk. 

Ma quella di oggi, con oltre 400 truppe che si consegnano a Mosca è una vera sconfitta per Kiev, che pare non avere più il pieno controllo delle operazioni militari nella parte orientale del Paese. I soldati che hanno defezionato e che parlano dell’assenza di rifornimenti e beni di prima necessità al fronte - dove non solo mancano le munizioni, ma non arriva più neanche l’acqua e spesso i soldati sono costretti a cacciare i serpenti per cibarsi - sono la conferma delle difficoltà nella gestione del fronte orientale. 

Per quanto queste notizie non siano verificabili e sono forse tendenziose (anche se le testimonianze dei disertori sono una chiara indicazione), è evidente però l’incapacità militare da parte delle forze armate di Kiev nel condurre a termine l’operazione e reprimere definitivamente l’insurrezione dell’Est Ucraina.

Secondo la presidenza, la guerra civile costa a Kiev circa 5,8 milioni di dollari al giorno. Ma le casse dello Stato languono e le spese sinora sono state sostenute grazie a un piano di aiuti internazionali da 27 miliardi di dollari. Il parlamento ucraino ha perciò introdotto una nuova “tassa di guerra” pari all’1,5% del reddito di tutti i cittadini, che dovrebbe durare fino al primo gennaio 2015 e che porterà nelle casse dello Stato altri 241 milioni di dollari. 

Segno che questa guerra sta portando l’intero Paese sul lastrico e avrà conseguenze pesantissime sul futuro dell’Ucraina se non si giungerà al più presto a un vero accordo di pace, mediato in un consesso internazionale e tale da garantire piena autonomia a quell’Est che non si riconosce più nell’autorità centrale di Kiev, con buona pace dell’unità politica e sociale dell’Ucraina per come l’avevamo conosciuta. 

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Luciano Tirinnanzi