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Il crepuscolo di Di Maio (e altri disastri)

La sconfitta in Sardegna è l'inizio della fine di "Giggino"? Certo che si, ecco perché

«Siete circondati! Arrendetevi!». Qualcuno ricorderà il grido di guerra che Beppe Grillo scagliava contro i dirigenti dei partiti tradizionali. Sembrava un’intimazione urlata da un capo pellerossa, un Toro seduto ligure, che alla maniera dei Sioux o degli Apache avvertiva i pochi militari confederati o unionisti che, se non avessero alzato le mani, avrebbero perso la vita. E prima ancora la chioma, destinata a diventare lo scalpo di qualche guerriero o capo tribù. Adesso Grillo non si vede più in giro. Era un pazzo simpatico e un comandante dal potere assoluto, senza avversari interni. Sapeva stupire gli italiani con imprese che sembravano impossibili o fuori di senno. Mentre scrivo mi ritorna alla memoria la traversata a nuoto dello Stretto di Messina.

Beppe Grillo

Che cosa c’entrava con la politica? Niente, Ma Grillo era un leader di grandi capacità. Non dimentichiamoci che è lui l’inventore dei Cinque stelle. I partiti tradizionali stavano facendo harakiri si sbranavano per controllare una banca in più o per mettere le mani su qualche azienda. Non posso scordare quel che accadde al mio unico figlio, Alessandro, poi scomparso prima del tempo. Sapeva il fatto suo e venne incaricato dal governo di dirigere la grande Finmeccanica. Non aveva padrini né padroni. E venne «fucilato» da un leader politico che oggi tenta di risalire la china: il Super Bullo, ovvero Matteo Renzi.

Mi dicono che questo signore ha scritto, o ha fatto scrivere, un libro per magnificare le proprie imprese. Devo acquistarlo? Ma non scherziamo!

Luigi Di Maio

Ritornando a Grillo, mi dispiace di non vederlo più sulla scena. Ma il tempo passa per tutti, a meno di non essere un cronista anziano come il sottoscritto che, alla bella età di 83 anni, gioca ancora con il Bestiario. L’assenza di Grillo ha portato alla ribalta una quantità di gentuccia che tenta di imitarlo. In realtà dovrei chiamarli i presunti imitatori, poiché lui è inimitabile. Il più ridicolo è il vice presidente del Consiglio: Luigi Di Maio. Che cosa dire sul suo conto? Niente. Per lui parlano i disastri che ha combinato.

Secondo il Fatto Quotidiano, in un anno i Cinque stelle hanno perso 300 mila elettori. Che cosa aggiungere a questa voragine? Niente. Un altro leader politico si sarebbe già dimesso, ma non Giggino. Lui continua a blaterare di essere il capo politico dei Cinque stelle. Rido sempre quando lo sento vantarsi di questa piuma sul cappello. E lo rammento quando una sera, da un balcone romano, annunciava all’Italia di aver sconfitto la povertà. Grazie al cosiddetto reddito di cittadinanza. Di Maio non si accorge di essere circondato dai fantasmi dei suoi errori. E dunque non si arrende. Una scelta da incapace sciocco e non da eroe.


Mi domando perché il dittatore della Lega non l’abbia già scaricato. Matteo Salvini è forte, così sembra. Ma di certo non è un uomo saggio. Restare accanto a un naufrago con la scabbia prima o poi ti fa ammalare. Ma noi cronisti senza potere dobbiamo avere pazienza. Prima o poi, il Capitano leghista fucilerà Giggino. Neppure il fantasma di Grillo potrà salvarlo. Tuttavia l’ora fatale si avvicina. In maggio ci saranno le elezioni europee e allora ciascuno per sé e nessuno per tutti. Il maggio del 2019 ci farà comprendere se la sinistra è uscita dal coma.

Il Pd di Zingaretti

Martedì 27 febbraio, nel talk show di Lilli Gruber, il compagno Zingaretti distribuiva sicurezze e sorrisi, neanche fosse il fratello Luca nei panni del commissario Montalbano. Il commissario indaga e alla fine scopre sempre il colpevole. Il fratello si limita a fare flanella e vuole diventare il segretario del Partito democratico. Mi domando sempre perché lo desideri così tanto. La sinistra italiana è un cimitero di sconfitti. Si è circondata da sola, un errore dopo l’altro. Tanto che oggi siamo di fronte a un paradosso pericoloso: la nostra è una democrazia senza opposizione. Se al Nazareno, la sede del Pd, non suona l’allarme rosso rischiamo che si avveri una profezia del vecchio Pietro Nenni. Quella di diventare una democrazia senza popolo.

Matteo Salvini

Uno che ha compreso tutto è proprio Salvini. Per il momento ha smesso di travestirsi da poliziotto. Qualche amico o qualcuna delle sue tante morose deve avergli spiegato che era ridicolo. E adesso si limita a giocare con le felpe. Ve lo immaginate Alcide De Gasperi o Palmiro Togliatti che cambiano di continuo la felpa e la scritta messa in mostra? Ma il suo stato d’animo resta quello del politico autoritario. Se alle elezioni europee sarà uno dei vincitori, dobbiamo aspettarci il peggio. Per quel che mi riguarda, ho già lasciato un giornale quotidiano dove gli editoriali si concludevano con un lapidario «Forza Salvini!». Sono sempre stato un cronista che amava cambiare testata. Lo ritenevo salutare e persino educativo. E credo di possedere un record a proposito di traslochi. Però adesso sono troppo anziano e vorrei andarmene salutando i lettori di Panorama e non quelli di un altro giornale.

Ma se mi guardo attorno non scopro molte alternative al blocco di destra dove una nullità come Di Maio si vanta di essere leader politico. L’unica che intravedo l’ho descritta in una recente Piazza pulita di Corrado Formigli: un governo di tecnici protetto dai militari. Non sto pensando a un colpo di Stato. Il golpe è già avvenuto. E a deciderlo hanno provveduto i tanti italiani che hanno mandato a Palazzo Chigi una quantità di piccoli politici incompetenti. Dobbiamo tenerceli o provare a mandarli a casa? Vedete un po’ voi.

Per quello che mi riguarda, rivelerò ai lettori di Panorama un piccolo segreto personale. Anni fa avevo smesso di votare. Ma questa volta mi presenterò al seggio. E metterò la croce su un simbolo di partito. Quale? Ve lo dirò dopo averlo fatto.
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