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(Ansa)
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Il mondo nascosto della delinquenza giovanile femminile

Dalla Germania all'Italia la cronaca ci sbatte in faccia una realtà che poco conosciamo, ma le cui dimensioni meriterebbero ben altra attenzione e considerazione

Il corpo di una dodicenne scomparsa sabato 11 marzo è stato ritrovato a Freudenberg, in Germania. Ad ucciderla, con numerose coltellate, sarebbero state due ragazze di 12 e 13 anni. Il 25 febbraio, a Castelberforte una tredicenne era stata picchiata e colpita a forbiciate da due coetanee compagne di classe. Abbiamo chiesto alla nostra profiler, la dottoressa Cristina Brasi, di analizzare il fenomeno della delinquenza giovanile femminile.

Il fenomeno è molto complesso ed è ancora oggetto di studio. Non vi è ancora una spiegazione dello stesso in quanto, l’incremento di tale tipologia di delinquenza, è di epoca recente. Per comprendere quanto sta accadendo è necessario partire dall’analisi del “gender gap”, ossia la differenza tra il numero di reati commessi dagli uomini e dalle donne, dal concetto di “generalizzabilità”, ovvero la possibilità, o meno, di utilizzare le stesse spiegazioni criminologiche per gli uomini e per le donne e, infine, dalla differenza nella tipologia di reati commessa dai maschie dalle femmine.

Le ricerche a riguardo sono state condotte prevalentemente negli Stati Uniti, e si dividono principalmente in due filoni. Una corrente minoritaria riterrebbe che sia in corso un cambiamento negli stili di vita e comportamentali delle donne che le renderebbe più propense al crimine. Questa teoria si articolerebbe in due ulteriori varianti, una che vedrebbe le donne più libere, emancipate, assertive e propense all’aggressività e l’altra che riterrebbe che il cambiamento nel comportamento delle donne sia dovuto a un maggior numero di conflitti e difficoltà, oltre che a una femminilizzazione della povertà, che farebbero sfociare i comportamenti nella devianza. La seconda corrente riterrebbe che la donna sia semplicemente più spesso vittima di maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine, ipotesi del “net widening enforcement”. Questo concetto è stato introdotto in criminologia a partire dagli anni ‘80 quando ci si accorse che il ricorso alle misure alternative alla detenzione non aveva comportato una riduzione degli accessi al carcere, al contrario aveva dato luogo a un’espansione del sistema di vigilanza, di controllo e di sanzionamento che si sarebbero concentrati in particolare su crimini minori. In questo modo si sarebbe intercettato un maggior numero di persone di sesso femminile. In parallelo, si colloca la prospettiva di coloro che imputerebbero la riduzione del “gender gap” al cambiamento della criminalità maschile, cioè alla sua riduzione, fenomeno che porta il nome di “ameliorative perspective”.

Quanto rilevo però di maggior interesse sarebbe il fatto che, studi recenti, indicherebbero la mancanza di una specificità femminile nel comportamento criminale, soprattutto se osservata con riferimento alla storia di vita e alle esperienze di vittimizzazione. In altri termini, le donne che commettono reati non apparirebbero più traumatizzate o svantaggiate. I fattori di rischio alla base della condotta deviante sarebbero gli stessi che, a partire da differenti prospettive, vengono individuati per gli uomini, vale a dire basso autocontrollo, modelli genitoriali carenti, svantaggi economici, delinquenza dei coetanei.

I dati più attendibili relativi alla delinquenza giovanile emergerebbero dell’indagine ISRD3 (International Self Report Deliquency 3) sulla delinquenza autoriferita condotta in 26 Paesi dal 2012 al 2016 che ha rilevato il numero e la tipologia di condotte devianti affidandosi direttamente alle dichiarazioni dei giovani coinvolti. Ciò avrebbe consentito di accedere a informazioni importanti non gravate dalle distorsioni legate alle fonti secondarie, quali ad esempio il numero di denunce o gli arresti. Dai risultati presentati emergerebbe che la delinquenza giovanile sarebbe ancora caratterizzata dalla differenza di genere, più intensa nelle forme più gravi di coinvolgimento nei comportamenti devianti. Si confermerebbe tuttavia la riduzione nel corso degli ultimi anni di tale differenza, che andrebbe imputata più alla diminuzione dei comportamenti devianti maschili che all’aumento di quelli femminili; non sarebbe quindi in corso una sorta di “maschilizzazione” delle ragazze, piuttosto, al contrario, il comportamento maschile tenderebbe ad avvicinarsi maggiormente a quello femminile per quanto riguarda la devianza e il crimine.

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Andrea Soglio

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