Washington è alla difficile ricerca di un equilibrio in Medio Oriente
La Casa Bianca sta cercando di armonizzare la necessità israeliana di ripristinare la deterrenza con il mantenimento dei rapporti con i Paesi arabi
È una posizione complessa quella portata avanti dagli Stati Uniti sulla crisi di Gaza. Una posizione che sta cercando di trovare un equilibrio tra la necessità israeliana di ripristinare la deterrenza dopo l’attacco del 7 ottobre e l’esigenza di impedire un allargamento del conflitto.
Funzionari americani hanno riferito al New York Times che l’esercito dello Stato ebraico ha “un tempo limitato per portare a termine le sue operazioni a Gaza prima che la rabbia tra gli arabi nella regione e la frustrazione negli Usa e in altri Paesi per il crescente numero di vittime civili limitino l’obiettivo di Israele di sradicare Hamas”. La Cnn ha inoltre riportato che l’amministrazione Biden sarebbe stata avvertita dai diplomatici americani di un crescente sentimento di ostilità nei confronti degli Usa da parte del mondo arabo. Ne consegue che la Casa Bianca sta cercando di bilanciare il sostegno a Israele contro Hamas con il mantenimento dei rapporti con i Paesi arabi: il rischio, ragionano a Washington in queste ore, è che altrimenti possa definitivamente deragliare la logica che aveva portato agli accordi di Abramo e che, fino a inizio ottobre, stava per condurre a una normalizzazione delle relazioni tra l’Arabia Saudita e lo Stato ebraico.
Un altro dossier spinoso che Washington sta gestendo è quello del futuro politico di Gaza. Americani e israeliani concordano sul fatto che la Striscia non possa più essere governata da Hamas. Tuttavia emergono delle differenze su che cosa fare dopo lo sradicamento di questa organizzazione terroristica. Benjamin Netanyahu ha detto lunedì che, al termine del conflitto, Israele si occuperà della sicurezza nella Striscia per un “periodo indefinito”. Washington, dal canto suo, si è fermamente opposta a una “rioccupazione” di Gaza da parte di Israele. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americano, John Kirby, ha, sì, riconosciuto che possa esserci una fase di transizione, ma è tornato a escludere nei giorni scorsi l’eventualità di una rioccupazione. Forse non a caso, nelle ultime ore, lo stesso Netanyahu ha precisato di non puntare a un'occupazione della Striscia, invocando però al contempo una “Gaza smilitarizzata, deradicalizzata e ricostruita".
L’obiettivo di Washington è quello di favorire nella Striscia un governo guidato dall’Anp: uno scenario rispetto a cui Abu Mazen si è mostrato possibilista. Gli americani, tramite il direttore della Cia William Burns, hanno anche offerto all’Egitto di gestire l’eventuale transizione post bellica: una proposta che tuttavia Il Cairo ha rifiutato. Dal suo punto di vista, Washington ha anche un altro problema: convincere almeno una parte degli storici sponsor di Hamas ad abbandonare l’organizzazione e ad acconsentire a un nuovo governo nella Striscia. In tal senso, gli americani stanno cercando di trattare soprattutto con il Qatar e con la Turchia, spingendoli a rompere con un Iran che, al contrario, ha finora confermato il proprio sostegno ad Hamas. Non è al momento chiaro se Doha e Ankara accetteranno la linea proposta dagli Usa. Quel che è certo è che Washington, cercando di riportare l’Anp alla guida di Gaza, sta tentando di armonizzare due esigenze: lo sradicamento di Hamas e il mantenimento dei rapporti con i Paesi arabi. Il problema per Joe Biden è che, negli ultimi due anni, ha perso notevolmente influenza sul Medio Oriente. E adesso recuperarla non sarà facile.