ucraina
Manifestazione a Kiev il 22 gennaio 2022 (Getty Images).
Dal Mondo

Roccucci: «L’Ucraina è un Paese di frontiera, con molteplici identità»

Lo storico dell'Università Roma 3 spiega perché si può parlare di Ucraine al plurale. Dalle spaccature etniche alle due Chiese ortodosse, radiografia di una nazione divisa.

L'opinione pubblica occidentale pensa all'Ucraina come a un Paese compatto. Gli addetti ai lavori dicono invece che ci sono due, quattro o dieci Ucraine. Per capire come stanno veramente le cose, Panorama ha interpellato il professor Adriano Roccucci. Ordinario di Storia contemporanea all'Università Roma 3 e membro della Comunità di Sant'Egidio, è il massimo esperto di Ucraina in Italia secondo il suo collega di Ca' Foscari Aldo Ferrari. «In realtà io ho studiato più la Russia» dice ridendo, «anche se mi sono interessato costantemente pure di Ucraina».

Professore, quante Ucraine ci sono? Vladimir Putin dice che l'Ucraina non esiste. Qualcuno dice che ne esistono 10.

«L'Ucraina, che è diventata un Paese indipendente al crollo dell'Urss, quindi alla fine del 1991, è un Paese composito. Si potrebbe dire un Paese plurale. Non è solamente la differenziazione spesso evidenziata fra un'Ucraina che parla russo e un'Ucraina che parla ucraino. Quello è un elemento di questo carattere composito dell'Ucraina, ma è un elemento che va compreso. L'Ucraina è una realtà di un bilinguismo diffuso. Molti parlano sia ucraino sia russo».

Ma ci sono ucraini di etnia ucraina che parlano russo.

«Certo, certo. In questo senso dicevo che c'è un bilinguismo, nel senso che molti ucraini (e spesso l'appartenenza etnica è un'opzione di identificazione) come loro prima lingua parlano russo. E poi parlano anche ucraino. Kiev è una città per molti versi prevalentemente russofona. Anche se a Kiev in questi ultimi 30 anni si sente sempre di più parlare ucraino, perché è la lingua ufficiale, perché nelle scuole si insegna la lingua ucraina. Però vivendo in città si sente tanto parlare russo. Ma il fatto di parlare russo non esclude un'identità ucraina. Gli ucraini parlano anche russo».

Infatti... È complicato, diciamo.

«L'Ucraina, lo abbiamo sentito sentito tante volte (lo stesso toponimo, u krajn, vuol dire “alla frontiera”), è un territorio storicamente di frontiere, dove le frontiere sono state molto mobili ed è pieno di complessità. E uno dei caratteri di complessità è proprio questa, per usare un'espressione un po' forbita, “poliformità culturale”».

Cioè?

«L'Ucraina ha un carattere composto da storie diverse. Quello che voglio sottolineare è che l'Ucraina ha una sua conformazione articolata, dove vi sono regioni con un loro profilo peculiare, dovuto anche in alcuni casi alla presenza di minoranze nazionali storicamente radicate».

Per esempio?

«Prendiamo la Transcarpazia, la regione che si trova oggi ai confini con l'Ungheria e la Slovacchia, regione abitata da popolazioni con identità etniche differenti. In Transcarpazia ci sono, oltre agli ucraini, anche coloro che si definiscono ruteni, degli slavi orientali che hanno un connotato identitario quasi in senso di differenziazione dagli ucraini. Ma ci sono anche ungheresi, molti rom, slovacchi, romeni».

E ci sono altre regioni multietniche?

«Si può fare l'esempio della Bucovina, ai confini con la Romania, si può fare l'esempio della Galizia, la cui capitale è Leopoli, si può fare l'esempio del Donbass. Oppure potremmo dire il profilo delle regioni costiere lungo il Mar Nero, come quella di Odessa, è differente da quello delle regioni dell'Ucraina centrale. Tutte regioni con una loro storia differente».

Quindi ci sono tante Ucraine.

«Alcuni studiosi hanno parlato di una articolazione multipla di regioni. Quello che è importante è capire che abbiamo a che fare con un Paese plurale, composito e complesso. In questo senso, la vicenda di questi 30 anni di indipendenza è stata la vicenda travagliata della costruzione di uno Stato nazionale. Con il problema di tenere insieme questa società plurale e composita».

Ma in questi 30 anni si è creato un inizio di identità nazionale?

«Io credo che la storia di questi 30 anni abbia creato sicuramente un senso di appartenenza condiviso. Un senso di appartenenza non privo di contrasti e di conflittualità. Ma il fatto di dire che l'Ucraina è plurale non vuol dire che l'Ucraina non esiste. Come tutti gli Stati nazionali del mondo, è una realtà che emerge nell'età contemporanea. Il movimento nazionale ucraino emerge nell'Ottocento, uno Stato nazionale indipendente e stabile compare nel 1991. È un percorso di formazione di un'identità nazionale e di uno Stato nazionale che come tutti i percorsi degli altri Stati si è compiuto fra Ottocento e Novecento, ma questo non ne diminuisce la legittimità».

Forse ci sono stati degli eccessi nel tentativo di costruire quest'identità? Eliminare il russo dalle scuole non è stato un po' eccessivo?

«Ci sono state delle scelte, forse anche con degli errori, nell'accentuare questo elemento di contrapposizione linguistica. Non sempre, ma in alcuni passaggi c'è stata questa sottolineatura della contrapposizione che non ha giovato al percorso di costruzione dell'appartenenza all'Ucraina. In questo senso è stato un percorso travagliato, con errori e conflitti. Ma è anche il travaglio della storia».

A parte il russo, le lingue delle altre minoranze sono tutelate?

«Sono tutelate a livello locale anche se la legislazione di politica linguistica è in costante cambiamento. Sono minoranze assai meno consistenti di quella dei russi etnici. C'è una minoranza romena concentrata nelle zone al confine con la Romania, c'è una minoranza ungherese, c'è una minoranza slovacca ancora più ridotta, c'è una minoranza polacca... Sono tutelate a livello delle regioni in cui c'è maggiore concentrazione. La minoranza dei russi etnici è molto più consistente».

Quanti sono i russi etnici in Ucraina?

«La mancanza di dati aggiornati non permette di dare percentuali se non approssimative. Si parla oggi di circa 5-6 milioni di russi etnici. Ma, ripeto, sono dati non verificati».

Le minoranze mettono in luce le storie diverse che compongono l'identità ucraina.

«Esatto. La Galizia storicamente è stata prima polacca, poi asburgica dopo di che ancora polacca. E poi è entrata nell'Unione sovietica solo tra il 1939 il 1945. La Bucovina è stata a lungo ottomana, poi asburgica, poi romena. La Transcarpazia è stata storicamente legata al Regno d'Ungheria, poi tra le due guerre mondiali alla Cecoslovacchia. Questi percorsi sono importanti perché creano culture diverse, mentalità diverse».

Infine c'è l'appartenenza religiosa.

«La maggioranza degli ucraini sono ortodossi, ma la Chiesa ortodossa è divisa in due Chiese: una indipendente, riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli, che si chiama Chiesa ortodossa d'Ucraina, e una maggioritaria, che fa parte del Patriarcato di Mosca e si chiama Chiesa ortodossa ucraina».

Ma ha condannato l'invasione di Putin...

«Sì, sì. Ha preso una posizione molto chiara contro la guerra, anche chiamando il Patriarca Kirill a esprimersi. Che cosa comporterà questo in futuro è difficile dirlo. Ma anche se prende posizione nei confronti del Patriarcato di Mosca, questa chiesa resta contrapposta rispetto all'altra chiesa indipendente. Sono fratture abbastanza profonde. Poi c'è la Chiesa greco-cattolica, conosciuta anche come Chiesa uniate, ma questa denominazione ha una tonalità dispregiativa. I greco-cattolici ucraini hanno storicamente un rapporto molto difficile con gli ortodossi, ma ce l'hanno anche con i cattolici romani, latini, che hanno una forte impronta polacca».

I greco-cattolici sono molto radicali.frattura chiesa

«Sono molto patriottici. Da non dimenticare poi l'ebraismo, con una cultura interessantissima».

Numericamente come sono divise le due Chiese ortodosse?

«Abbiamo a disposizione i numeri delle parrocchie. La Chiesa che fa parte del Patriarcato di Mosca ha circa 12.500 parrocchie, quella che fa capo a Costantinopoli ne ha circa 7.000. E poi bisogna considerare che la quasi totalità dei monasteri, che nell'ortodossia sono molto importanti, sono a oggi rimasti nella Chiesa unita al Patriarcato di Mosca».

Si può dire che la parte legata a Costantinopoli è più nazionalista?

«Il motivo della scissione è questo: creare una Chiesa nazionale indipendente da Mosca. Invece quella che resta a Mosca non è di per sé antinazionale, ma vede in questa Chiesa indipendente una Chiesa non del tutto legittima dal punto di vista canonico».

E poi c'è l'ex patriarca Filarete...

«Filarete è il personaggio più controverso di tutti. Inizialmente era stato partecipe del processo che ha portato al riconoscimento della Chiesa indipendente, pensando di riuscire a tenerne il controllo, pur non essendo il primate. Così non è stato e allora lui si è distaccato. Oggi è una figura a se stante, ha nominato dei vescovi, ma con scarso seguito».

E ha rifatto un piccolo scisma.

«Sì, ma in passato era più consistente. Questo è più personalistico».

I più letti

avatar-icon

Elisabetta Burba