Nancy Pelosi
(Ansa)
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Il senso di Nancy Pelosi per l'unità nazionale

Al via i lavori della commissione parlamentare sull'assalto al Campidoglio. Ma c'è un problema: i suoi componenti sono stati tutti scelti dalla Speaker della Camera

Si ripete spesso – e a ragione – che la politica americana sia ormai vittima di una radicale polarizzazione. E' anche in questo senso che il presidente Joe Biden ha spesso invocato un clima di unità nazionale negli scorsi mesi. Un clima che tuttavia sembra sempre più difficile riuscire a costruire. Anche perché, va detto, non è che il Partito Democratico si sia impegnato troppo in questo senso. L'ultimo esempio riguarda la commissione parlamentare sull'irruzione in Campidoglio, che ha iniziato ieri i propri lavori. Fortemente voluta dalla Speaker della Camera Nancy Pelosi, tale commissione parlamentare è stata istituita alla Camera dopo la mancata creazione di un'altra commissione d'inchiesta, osteggiata a maggio dai senatori repubblicani. Ebbene, la scorsa settimana, proprio la Speaker ha bloccato l'ingresso nel nuovo organo di due dei cinque deputati repubblicani, che erano stati nominati dal capogruppo dell'elefantino alla Camera, Kevin McCarthy. In particolare, si tratta di Jim Jordan e Jim Banks, esclusi perché – ha dichiarato la Pelosi – "hanno rilasciato dichiarazioni e hanno intrapreso azioni che hanno reso ridicolo metterli in una tale commissione che cerca di far luce sulla verità".

Non solo: la stessa Speaker ha nominato nella commissione Liz Cheney e Adam Kinzinger, due dei deputati repubblicani che, lo scorso gennaio, votarono a favore dell'impeachment contro Donald Trump. McCarthy, dal canto suo, ha bollato il comportamento della Pelosi come un "enorme abuso di potere" e ha ritirato tutti i cinque membri da lui nominati. Con il risultato che adesso la commissione è costituita da sette democratici e da due repubblicani apertamente antitrumpisti (oltre che scelti dalla leader dell'asinello). In questo quadro, va ricordato che sia Jordan che Banks siano storicamente dei forti sostenitori dell'ex presidente Trump e che, in occasione del conteggio formale dei voti elettorali lo scorso 6 gennaio al Congresso, contestarono alcuni dei voti espressi a favore di Joe Biden. Questo, secondo la Pelosi, giustificherebbe in sostanza l'esclusione di entrambi i deputati dalla neonata commissione sull'irruzione in Campidoglio, quasi a volerli considerare corresponsabili dell'evento. Il New York Times ha inoltre puntato il dito contro il fatto che Jordan abbia in passato equiparato i fatti del 6 gennaio alle manifestazioni di Black Lives Matter, mentre Banks aveva in precedenza criticato la commissione della Pelosi, accusandola di partigianeria. Tuttavia la situazione è più complessa di come appare.

In primo luogo, al di là di come la si possa pensare nel merito politico, l'obiezione da parte di deputati e senatori nei confronti dei voti elettorali è una procedura legale, permessa dall'Electoral Count Act: tanto che, il 6 gennaio del 2017, alcuni deputati democratici – in base alla stessa norma – avanzarono delle obiezioni nei confronti di alcuni voti elettorali espressi a sostegno di Trump. In secondo luogo, è ben strano che, su una questione così grave e delicata come l'irruzione in Campidoglio, la Pelosi cerchi di sbilanciare la commissione da lei stessa voluta a proprio favore: un simile organo dovrebbe risultare infatti il più bipartisan possibile e raccogliere al suo interno le varie posizioni in campo. In tal senso, la pur legittima critica alle tesi di Jordan e Banks non autorizza un loro siluramento univoco né la creazione di una commissione di fatto senza rappresentanti del partito di opposizione. Sempre ammesso che l'obiettivo sia quello di far luce sulla verità e non brandire la faccenda come un randello da usare in modo smaccatamente politico.

Certo: la Pelosi ha giustificato la sua mossa senza precedenti, sostenendo che anche i fatti del Campidoglio siano essi stessi senza precedenti. Peccato che la sua tendenza a manipolare le procedure istituzionali a fini politici non nasca affatto oggi: quando – nell'autunno del 2019 – fu avviata la fase preliminare del primo processo di impeachment contro Trump, i deputati democratici non riconobbero ai repubblicani un potere d'inchiesta realmente paritetico. Per non parlare poi di alcuni disegni di legge introdotti e approvati dai democratici alla sola Camera negli ultimi mesi: disegni di legge che (come la riforma elettorale o l'istituzione di un cinquantunesimo Stato) non hanno ricevuto l'appoggio di un solo deputato repubblicano (anche tra quelli ostili a Trump). Segno di come, più che cercare la possibilità di un accordo con la parte avversa, molti democratici stiano in realtà cercando di mettere delle bandierine, esacerbando lo scontro. Un atteggiamento piuttosto miope, soprattutto alla luce della maggioranza risicatissima di cui l'asinello gode oggi al Congresso.

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Stefano Graziosi