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Miniera d'oro in Venezuela e la locandina di "Siete Mil" (Getty Images)
Dal Mondo

Il pugno duro di Maduro sugli Indios per i diamanti

Lo sfruttamento minerario in Venezuela ha assunto contorni sempre più tragici. E a farne le spese sono soprattutto le popolazioni indigene, come mostrato da un documentario del giornalista Francesco Semprini

Lo sfruttamento minerario del Venezuela è alla base di significativi drammi umanitari. Come riportato da uno studio del Center for Strategic and International Studies (datato aprile 2020), Hugo Chavez annunciò nel 2011 di voler aprire il territorio meridionale del Paese ad attività minerarie. Una visione ripresa e attuata nel 2016 dal successore, Nicolas Maduro, che ha definito il 12% del territorio venezuelano come Arco Minero: un'area ricca di risorse minerarie (coltan, bauxite, diamanti e oro), che presenta una superfice vasta più o meno come il Portogallo e che comprende gli Stati venezuelani di Amazonas, Bolivar e Delta Amacuro.

Sempre il Center for Strategic and International Studies ha specificato che "l'Arco Minero divenne rapidamente un hub per l'estrazione illegale, dove attori armati non statali e bande locali competono per il controllo delle principali operazioni minerarie". Non solo: il regime di Maduro ha anche fatto leva su aziende statali e forze di sicurezza per "legittimare" l'estrazione dei minerali. Del resto, il presidente venezuelano trae ampio beneficio (politico ed economico) da queste operazioni illecite. In che modo? E' presto detto.

In primo luogo, società statali come Minerven e Camimpeg si appropriano di risorse da miniere illegali, per poi esportarle in Paesi come Turchia ed Emirati arabi uniti. Tutto questo, mentre "alcuni profitti di questi traffici vanno direttamente nelle casse del regime di Maduro, fornendogli i soldi necessari per eludere la pressione finanziaria internazionale". Lo sfruttamento minerario illegale diventa, insomma, anche un'arma di natura geopolitica.

Come se non bastasse, in un quadro già di per sé preoccupante, compare anche il controverso ruolo dei militari che, ai posti di blocco, ricevono spesso tangenti in denaro e oro. "I minerali", ha inoltre precisato il think tank statunitense, "vengono trasportati via dal Venezuela con l'aiuto delle forze armate venezuelane, che facilitano i voli clandestini in cambio di tangenti". Tutto questo spiega anche il rapporto di stretta fedeltà che lega le forze armate a Maduro: grazie a questi traffici illeciti benedetti dal governo venezuelano, l'attività militare rappresenta infatti una delle professioni più redditizie in un Paese che versa in profonda crisi economica. E attenzione: perché nell'Arco Minero operano anche numerosi gruppi armati (talvolta in concorrenza reciproca): gruppi che riscuoterebbe delle "tasse" sui minatori e sulle comunità locali.

Insomma, la situazione è assolutamente problematica sotto svariati punti di vista. Si registrano innanzitutto impatti gravi sul versante ambientale (specialmente per quanto riguarda la foresta amazzonica). Tutto questo, mentre si verificano anche drammatiche violazioni dei diritti umani. Sono circa 500.000 i lavoratori coinvolti nell'attività mineraria illegale: si tratta perlopiù di venezuelani indigenti, di cui quasi la metà risulterebbe costituita da minorenni. Parliamo di persone che lavorano in condizioni terribili e sotto minaccia delle bande armate. Il Center for Strategic and International Studies ha in particolare riportato che "nello Stato di Bolivar sono state segnalate dozzine di massacri e segnalazioni di fosse comuni nella zona. Le comunità indigene che hanno tentato di resistere all'estrazione illegale sono state represse violentemente o costrette a fuggire dalle loro case ancestrali".

Un caso particolarmente tragico, sotto questo punto di vista, è rappresentato dalla vicenda dei Pemon: una popolazione indigena che sta da anni subendo le violente angherie dei gruppi armati e dello stesso governo venezuelano. Una vicenda poco raccontata, di cui si occupa il recente documentario del giornalista Francesco Semprini "Siete Mil". "Uno dei volti della tragedia venezuelana è quello dei Pemon, popolazione indigena che vive al confine col Brasile, nel mirino delle forze di Maduro pronte a mettere le mani sulle risorse di cui sono ricche le loro terre. In particolare il coltan tra i minerali più richiesti dalle industrie tecnologiche per la fabbricazione di componenti elettroniche", ha dichiarato Semprini a Panorama. "Così è nato "Siete Mil" un progetto complicato anche perché realizzato durante la pandemia. Ma ce l'abbiamo fatta grazie alla professionalità e l'ostinazione di tutti coloro che hanno contribuito, Leonardo Pallenberg e Anna Vyaches, per foto, camera e montaggio, Jacopo Messina per il design del suono, Antonello Veneri per le immagini e il maestro Andrea Rotondi che ha composto le musiche", ha aggiunto il giornalista. La speranza è che questo lavoro possa contribuire ad accendere ulteriormente i riflettori della comunità internazionale su queste tragiche dinamiche. E che faccia aprire finalmente gli occhi a quanti – anche dalle nostre parti – si dicono sostenitori di Maduro.

Siete Mil - il Documentario

Siete Mil è un progetto indipendente e autofinanziato che mi vede al mio esordio come regista e sceneggiatore di documentari. Nasce da un'intuizione, figlia di un viaggio al confine tra Venezuela e Brasile, e dal successivo lavoro di un gruppo di professionisti che hanno prestato le loro specialità per realizzare un prodotto diverso. Con l'ambizione di raccontare una realtà poco conosciuta ma sicuramente attuale, e che in qualche modo riguarda una parte della identità italiana. L'obiettivo, in questa prima fase post produzione, è far conoscere il documentario breve (oltre 16 minuti in doppia versione con sottotitoli in italiano e inglese) nei circuiti di festival e manifestazioni di settore e culturali

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Stefano Graziosi