Liberati i pescatori in Libia, il regalo di Natale di Conte
I pescatori italiani dopo la liberazione il 17 dicembre 2020 (Ansa)
Dal Mondo

Liberati i pescatori in Libia, il regalo di Natale di Conte

Il premier a Bengasi sblocca la situazione dei pescatori sequestrati più di 100 giorni fa e che oggi diventano medaglia politica

L'incubo è finito: i pescatori di Mazara del Vallo prigionieri in Libia sono liberi. A renderlo noto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, recatosi oggi a Bengasi insieme al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio per sbloccare una situazione che sembrava bloccata. Dopo oltre cento giorni di detenzione, gli ostaggi hanno quindi riacquistato la libertà per la gioia delle loro famiglie e per tutto il nostro Paese.

I pescatori – sei italiani, otto tunisini, due indonesiani e due senegalesi – erano stati fermati lo scorso settembre dalle forze del generale, Khalifa Haftar, con l'accusa di aver violato le acque territoriali libiche. La questione è finita presto in stallo, con il governo italiano che – per circa tre mesi – ha mostrato un certo immobilismo: un immobilismo che gli ha non a caso attirato le aspre critiche delle forze di opposizione. La situazione è man mano peggiorata, soprattutto quando è emerso che Haftar fosse molto probabilmente intenzionato ad ottenere – in cambio del rilascio – l'estradizione di quattro calciatori libici, condannati in Italia come scafisti. Infine, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: a inizio dicembre, il generale della Cirenaica ha di fatto rilasciato una nave turca che era stata sequestrata pochi giorni prima. Per quanto la liberazione fosse ufficialmente avvenuta dietro pagamento di una multa, è molto probabile che abbia svolto un ruolo determinante la posizione di Ankara, che aveva usato toni e parole non poco minacciose sulla questione.

L'episodio è stato (giustamente) interpretato come un ulteriore schiaffo nei confronti dell'Italia. Innanzitutto i libici sono ricorsi a un vero e proprio doppiopesismo, trattando in modo differente due casi fondamentalmente analoghi (quello italiano e quello turco). In secondo luogo, pensiamo al paradosso politico. La Turchia è un'acerrima nemica di Haftar e – da circa un anno –sostiene non a caso il governo di Tripoli, guidato da Fayez al Serraj. Di contro, pur riconoscendo formalmente lo stesso Serraj, Roma ha – negli ultimi anni – mantenuto una linea relativamente morbida con il maresciallo della Cirenaica. Eppure – sul tema degli ostaggi – quest'ultimo ha tenuto in scacco l'Italia, mostrandosi invece piuttosto remissivo e arrendevole nei confronti di Recep Tayyip Erdogan. Segno di come, nelle relazioni internazionali, sia talvolta necessario minacciare l'uso della forza per ottenere dei risultati. La diplomazia del dialogo non è, in altre parole, uno strumento buono per tutte le stagioni: ci chiediamo sommessamente quando Di Maio riuscirà una buona volta a capirlo.

Ma il punto non è soltanto l'ennesima figuraccia internazionale del nostro Paese. Sarebbe infatti interessante comprendere anche la tempistica di questa liberazione. Non vorremmo essere accusati di dietrologia, ma è un caso che sia avvenuta in una fase particolarmente complicata per il governo giallorosso? Non è che forse una questione internazionale sia stata, per così dire, subordinata a obiettivi di politica interna? Del resto, non è esattamente un periodo roseo – questo – per Palazzo Chigi, con Conte che è costretto a gestire sempre più numerose fibrillazioni in seno alla sua stessa maggioranza: dalla verifica di governo al subbuglio sul Dpcm Natale, senza trascurare le alte probabilità di un rimpasto. In altre parole, il premier è al momento particolarmente esposto e vulnerabile non solo nei confronti dell'opinione pubblica ma anche verso i settori più riottosi della propria maggioranza. Le stesse spaccature, recentemente verificatesi in seno al Comitato tecnico-scientifico, non costituiscono un buon segnale per un capo del governo che – in questi mesi – ha costantemente scaricato le responsabilità delle sue scelte in materia di salute pubblica proprio sui tecnici. Ecco che quindi il successo internazionale potrebbe aiutarlo: quasi un vero e proprio "spot natalizio" sulla pelle di 18 pescatori rimasti in balìa per tre mesi di forze ostili. Non vogliamo credere che l'esecutivo abbia iniziato a muoversi concretamente soltanto in considerazione di problemi interni né che – peggio ancora – sia stata scelta una data ad hoc per agire. Però i dubbi sulla tempistica restano. E, come diceva Andreotti, a pensar male si farà anche peccato: ma spesso ci si azzecca.

I più letti

avatar-icon

Stefano Graziosi