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(Ansa)
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Taiwan, la prossima Ucraina

Mentre si combatte nei pressi di Kiev, la Cina sta tornando a mettere Taiwan sotto pressione. L'asse sino-russo punta a mettere sempre più in crisi gli Stati Uniti, approfittando della debolezza di Biden

Mentre l’invasione russa dell’Ucraina procede e si combatte a ormai pochi chilometri da Kiev, nelle scorse ore si sono verificate nuove incursioni di velivoli da guerra cinesi nello spazio aereo di difesa di Taiwan. Un evento inquietante e non certo casuale. Non è del resto un mistero che il progressivo ammassamento di truppe russe ai confini ucraini lo scorso autunno sia avvenuto sostanzialmente in contemporanea a massicce incursioni aeree cinesi su Taiwan. I due dossier, quello ucraino e quello taiwanese, sono infatti collegati a doppio filo. A dimostrarlo stanno in particolare due elementi.

In primo luogo, la pressione sull’Ucraine da parte della Russia e su Taiwan da parte della Cina è ripresa, guarda caso, appena poche settimane dopo la disastrosa crisi afgana dello scorso agosto. Quella crisi si è rivelata deleteria per l’Occidente: non solo gli Stati Uniti hanno infatti condotto un’evacuazione confusa e disordinata, ma proprio quella crisi ha evidenziato tutta la debolezza in cui attualmente versano le relazioni transatlantiche. E’ quindi in tal senso che Russia e Cina hanno pensato di poter approfittare della situazione per alzare il tiro, spinte – tra le altre cose – da un presidente americano, Joe Biden, irresoluto e fondamentalmente prevedibile.

Il secondo elemento da sottolineare è l’incontro, tenutosi a Pechino a inizio febbraio, tra Vladimir Putin e Xi Jinping: in quell’occasione, i due presidenti hanno emesso un comunicato stampa congiunto, in cui la Russia ha riconosciuto le pretese cinesi su Taiwan e la Cina, dal canto suo, ha appoggiato la Russia nella sua opposizione all’espansione della Nato a Est. In tutto questo, non va neppure trascurato che, da quando ieri è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, la Cina abbia tenuto una linea significativamente ambigua, evitando accuratamente di condannare la mossa di Putin.

Mosca e Pechino, in altre parole, puntano a sfruttare quella che Dwight Eisenhower definì nel 1954 la “teoria del domino”, secondo uno schema che da Kabul va a Kiev e da Kiev a Taipei. E’ ovvio che Taiwan e l’Ucraina non siano due dossier completamente sovrapponibili sotto svariati punti di vista. Tra le altre cose, è presumibile ritenere che, sotto il profilo dell’interesse nazionale americano, l’isola rivesta un’importanza maggiore di Kiev: non solo perché Washington si sta sempre più concentrando sull’Indo-Pacifico, ma anche perché – ricordiamolo – Taiwan è una nota produttrice di semiconduttori.

Chiarito questo, dobbiamo tuttavia porci la stessa domanda che ci stiamo ponendo per l’Ucraina. Gli Stati Uniti saranno alla fine disposti a difendere militarmente Taiwan? Per essere chiari: gli Stati Uniti acconsentiranno all’eventualità di intervenire direttamente in guerra? L’Afghanistan e l’Ucraina hanno ormai palesato in modo inequivocabile che equipaggiare militarmente e poi lavarsene le mani non serve a nulla. E quindi? Che cosa si può rispondere? E’ chiaro che, proprio alla luce della teoria del domino, è tutto da dimostrare che – nonostante gli interessi in gioco sull’isola – l’amministrazione Biden sia pronta a compiere eventualmente un simile passo.

Il precedente afgano e quello ucraino pesano notevolmente, mentre – come già sottolineato – l’attuale Casa Bianca continua ad essere preda di un approccio totalmente prevedibile, che le impedisce di esercitare con efficacia la deterrenza. Il che è una iattura. E’ proprio nei momenti in cui si opta per il ritiro che è infatti necessario negoziare buoni accordi. E i buoni accordi si negoziano attraverso pressioni, bluff, imprevedibilità e –se necessario– minacce. E’ questo il senso della cosiddetta “teoria del pazzo” di nixoniana memoria: un approccio, questo, che serve a intimorire l’avversario, con il preciso obiettivo di strappargli delle concessioni sostanziali. Biden, lo abbiamo visto, non è in grado purtroppo di muoversi in questo schema. Ed è per tale ragione che gli avversari internazionali degli Stati Uniti ne approfittano.

Nonostante i rapporti non sempre idilliaci, Mosca e Pechino sono unite al momento da significativi interessi: interessi che si saldano plasticamente alle crisi di Ucraina e Taiwan. Il loro obiettivo, nel lungo termine, è infatti quello di minare progressivamente il soft power americano, indebolendo le relazioni transatlantiche e dividendo gli Stati dell’Europa occidentale. Non siamo sicuri che questo trend sia necessariamente irreversibile. Ma la debolezza dell’attuale leadership americana non fa ben sperare. Perché, mentre il tempo passa, i tasselli del domino continuano a cadere. E l’asse sino-russo è sempre più soddisfatto.

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Stefano Graziosi