Il G7 mette nel mirino la minaccia cinese (nonostante l'ambiguità di Biden)
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Il G7 mette nel mirino la minaccia cinese (nonostante l'ambiguità di Biden)

Il G7 si è espresso severamente verso Mosca e Pechino. Eppure, subito dopo, Biden ha parlato di "disgelo" con il Dragone: una contraddizione che rischia di indebolire l'Occidente davanti alla minaccia cinese

Sono vari i dossier di cui si è occupato il summit G7 di Hiroshima. Innanzitutto i partecipanti hanno ribadito il loro sostengo all’Ucraina contro l’invasione russa. "Condanniamo ancora una volta con la massima fermezza la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che costituisce una grave violazione del diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite. La brutale guerra di aggressione della Russia rappresenta una minaccia per il mondo intero”, si legge nel comunicato finale. Non a caso, durante il summit, sono state annunciate ulteriori sanzioni contro Mosca, mentre Joe Biden ha assicurato il sostegno americano a un programma di addestramento, rivolto ai piloti ucraini, per l’utilizzo dei caccia F-16. Inoltre, l’impegno a favore di Kiev è stato sottolineato anche dalla partecipazione dello stesso Volodymyr Zelensky al summit.

Tuttavia, al di là della Russia, il bersaglio del G7 si è rivelato soprattutto la Cina. “Riaffermiamo l'importanza della pace e della stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan come indispensabili alla sicurezza e alla prosperità nella comunità internazionale”, recita il comunicato. “Continueremo a esprimere le nostre preoccupazioni sulla situazione dei diritti umani in Cina, compreso il Tibet e lo Xinjiang, dove il lavoro forzato è per noi motivo di grande preoccupazione”, prosegue. “Non esiste una base legale per le estese rivendicazioni marittime della Cina nel Mar Cinese Meridionale, e noi ci opponiamo alle attività di militarizzazione della Cina nella regione”, si legge ancora. Nei fatti, i leader del G7 hanno anche accusato Pechino di “pratiche maligne” e di “coercizione economica”, suscitando la piccata replica del Dragone. “La comunità internazionale non accetta e non accetterà le regole occidentali dominate dal G7 che cercano di dividere il mondo sulla base di ideologie e valori”, ha affermato il ministero degli Esteri cinese in una nota.

Checché ne possa dire il Partito comunista cinese, il G7 ha fatto bene a mettere dei paletti alle controverse attività politiche, economiche e militari di Pechino. Una Pechino che, nonostante qualcuno si ostini a invocarla come mediatrice nel conflitto ucraino, continua a mantenere una posizione totalmente ambigua sulla questione. Il problema è che la compattezza mostrata dal G7 nel contrasto al Dragone è stata nei fatti smontata dallo stesso Biden. Al termine del summit, il presidente americano ha dichiarato di attendersi "molto presto" un "disgelo" con la Cina. Biden ha anche aggiunto che la sua amministrazione starebbe valutando di revocare le sanzioni contro il ministro della difesa cinese Li Shangfu.

Insomma, il G7 emette un comunicato (giustamente) duro nei confronti della Repubblica popolare cinese. E subito dopo Biden invoca un disgelo con la stessa Repubblica popolare cinese. Che senso ha? Una tale contraddizione indebolisce infatti l’Occidente davanti alla sfida di Pechino. Possibile che l’inquilino della Casa Bianca non se ne renda conto? La causa di questo paradosso è probabilmente da ricercarsi in seno alla sua stessa amministrazione. Un’amministrazione che, non è un mistero, si è sempre rivelata spaccata al suo interno relativamente al dossier cinese. Da una parte c’è chi – come il segretario di Stato Tony Blinken – invoca la linea dura verso il Dragone. Dall’altra, c’è chi – come l’inviato speciale per il clima John Kerry – auspica la distensione. È quindi verosimilmente a causa di queste fratture interne che, ancora una volta, la posizione espressa da Biden sulla Cina si è rivelata ambigua.

Un’ambiguità che, come detto, rischia di rivelarsi deleteria per l’intero Occidente. Non dimentichiamo d’altronde che, negli scorsi giorni, si sono tenuti due summit non esattamente allineati al G7 di Hiroshima. La Cina ha innanzitutto ospitato il vertice dei Paesi dell’Asia Centrale: un’area in cui Pechino sta pericolosamente rafforzando la sua influenza in chiave antioccidentale. In secondo luogo, venerdì si è tenuto anche il vertice della Lega Araba: vertice che, sì, ha ospitato Zelensky. Ma che ha anche segnato il ritorno nell’organizzazione dopo dodici anni della Siria: una strettissima alleata di Vladimir Putin che, a gennaio 2022, è entrata nella Belt and Road Initiative. Insomma, la situazione complessiva resta preoccupante. È per questo che servirebbe una leadership americana più risoluta.

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Stefano Graziosi