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(Ansa)
Dal Mondo

Gli strani collegamenti di Hunter Biden con la Russia

Non solo Cina e Ucraina: rapporti ed e-mail stanno evidenziando che i controversi affari del figlio di Biden presentavano collegamenti indiretti anche con il Cremlino (che, guarda caso, difese pubblicamente Hunter a ottobre 2020). E i repubblicani adesso vogliono vederci chiaro

Una certa vulgata non fa che ripetere da anni che Donald Trump sarebbe stato un presidente filorusso: una vulgata che è stata ampiamente cavalcata dal Partito democratico americano. Ora, il rapporto del procuratore speciale, Robert Mueller, non si è rivelato in grado di provare alcuna collusione tra il Cremlino e il comitato elettorale di Trump nel 2016. Dall’altra parte, cominciano ad emergere strani collegamenti tra il figlio di Joe Biden, Hunter, e la Russia. Chiariamolo subito: al momento non ci sono evidenze di legami diretti tra Hunter e le alte sfere di Mosca. Tuttavia, stanno spuntando delle “piste”, che lasciano significativamente perplessi.

A fine marzo, il Washington Post ha innanzitutto rivelato che il figlio dell’attuale presidente americano ha ricevuto 4,8 milioni di dollari dall’allora colosso energetico cinese Cfec: secondo un rapporto investigativo dei senatori repubblicani del novembre 2020, questa azienda non godeva solo di connessioni con l’Esercito popolare di liberazione, ma anche con i vertici del del Cremlino. Tra agosto 2017 e maggio 2018, Cfec fu del resto in trattative per l’acquisizione (poi naufragata) di una partecipazione nel gigante statale russo Rosneft. La seconda pista chiama in causa il Kazakhistan. Il Wall Street Jorunal ha infatti confermato quanto dichiarato in un altro rapporto dei senatori repubblicani risalente al settembre 2020. Nell’aprile 2014, Rosemeont Seneca –società co-fondata da Hunter– ricevette oltre 142.000 dollari da Kenes Rakishev: oligarca kazako che, secondo la testata francese Le Media, intratterrebbe strettissimi rapporti con il leader ceceno Ramzan Kadyrov (ferreo sostenitore di Putin e attualmente coinvolto nell’invasione russa dell’Ucraina).

C’è poi una terza pista. Nel 2020, i senatori repubblicani sostennero che, sempre nel 2014, Hunter Biden ricevette 3,5 milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, Elena Baturina. Il figlio dell’attuale presidente americano ha respinto questa accusa e bisognerà capire se ci saranno o meno delle conferme. Tuttavia, si registra una stranezza non di poco conto. Era l’ottobre del 2020 quando, durante un dibattito televisivo a poche settimane dalle elezioni presidenziali americane di quell’anno, Trump rinfacciò a Joe Biden e al figlio l’accusa relativa a Elena Baturina. Ebbene, tre giorni dopo, in difesa di Hunter scese in campo lo stesso Putin, che disse di non essere a conoscenza di sue attività illecite in Russia e in Ucraina. Questo è il resoconto fornito all’epoca da Reuters: “Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato domenica [25 ottobre 2020, ndr] di non aver visto nulla di criminale nei passati rapporti d'affari di Hunter Biden con l'Ucraina o la Russia, sottolineando il suo disaccordo con una delle linee di attacco di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi”.

La presa di posizione di Putin all’epoca è significativa sotto due punti di vista. Innanzitutto, contribuisce a mettere in crisi la vulgata, secondo cui il presidente russo stesse brigando per aiutare Trump ad essere rieletto: quelle sue dichiarazioni furono infatti un assist a Joe Biden. Tuttavia, più nello specifico, quelle dichiarazioni cozzano con la posizione assunta dal Cremlino nelle scorse settimane: un Cremlino che ha messo Hunter Biden sotto sanzioni, tacciandolo di intrattenere dei legami con biolaboratori ucraini che, secondo i russi, svilupperebbero armi biologiche col sostegno americano. Washington, dal canto suo, ha negato che queste strutture siano finalizzate alla realizzazione di armi biologiche, sostenendo al contrario che il loro scopo è di carattere meramente scientifico.

In questo quadro, il New York Post e il Daily Mail hanno recentemente pubblicato delle e-mail che mostrano come nel 2014 Rosemont Seneca avrebbe raccolto fondi e investito 500.000 dollari in Metabiota: società appaltatrice del Pentagono che effettua ricerche su malattie e a cui, nello stesso 2014, il governo americano assegnò quasi 24 milioni di dollari. Non solo: le due testate hanno riferito che Hunter ha agito come anello di congiunzione tra la stessa Metabiota e Burisma Holdings: controversa azienda energetica ucraina, in cui il figlio dell’allora numero due della Casa Bianca entrò nell’aprile 2014. E proprio nell’aprile 2014, il vicepresidente di Metabiota, Mary Guttieri, mandò una nota a Hunter, in cui spiegava come avrebbero potuto “affermare l'indipendenza culturale ed economica dell'Ucraina dalla Russia”. Pochi giorni dopo, l’alto dirigente di Burisma, Vadym Pozharskyi, scrisse a sua volta a Hunter, sottolineando che costui gli aveva parlato di un “progetto scientifico” che avrebbe coinvolto Burisma e Metabiota in Ucraina.

Ricordiamo che – come sottolineato anche dalla Bbc il mese scorso– non ci sono prove dell’accusa russa, secondo cui i biolabortatori ucraini realizzerebbero armi biologiche con il sostegno americano. Tuttavia, per quanto riguarda la vicenda di Hunter Biden, il problema è un altro e ha una natura duplice. È normale che il figlio di un vicepresidente americano in carica (perché tale era Joe Biden nel 2014) investa e raccolga fondi per una società appaltatrice del governo degli Stati Uniti? Ma soprattutto: questo coinvolgimento di Hunter in Metabiota risale –lo abbiamo visto– al 2014. La domanda che sorge è quindi: perché, a ottobre 2020, Putin difese di fatto le attività di Hunter in Russia e Ucraina, mentre adesso –dopo appena un anno e mezzo– lo accusa di coinvolgimento nella presunta realizzazione di armi biologiche in Ucraina e lo mette addirittura sotto sanzioni? È interessante notare che Hunter non occupa attualmente posizioni pubbliche e che, in passato, non ha ricoperto incarichi pubblici politicamente sensibili dal punto di vista delle relazioni internazionali (è stato vicepresidente della National Railroad Passenger Corporation dal 2006 al 2009, oltre ad aver avuto un ruolo dirigenziale al Dipartimento del Commercio tra il 1998 e il 2001). Quindi perché il Cremlino lo ha messo sotto sanzioni?

E proprio questo ha portato a dei sospetti. A fine marzo, alcuni deputati repubblicani hanno non a caso inviato una lettera alla Casa Bianca, chiedendo di ottenere le registrazioni delle comunicazioni intercorse tra Hunter e l’amministrazione Obama (in cui Joe Biden era vicepresidente). “I legami di Hunter Biden in tutta la sfera di influenza russa sono ora diventati particolarmente rilevanti nella guerra russa in rapido sviluppo in Ucraina”, si legge nella missiva. “Se il governo russo sta tentando di influenzare la politica americana in Ucraina sfruttando il legame di Hunter Biden con suo padre, il presidente degli Stati Uniti, il popolo americano merita di saperlo”, prosegue la lettera. “Il fatto che il governo russo abbia comminato sanzioni a Hunter Biden e, in particolare, a nessuno degli altri figli di Biden, suscita degli interrogativi sui suoi legami con la Russia”, si legge ancora. Insomma, sembra proprio che il Partito repubblicano abbia intenzione di fare chiarezza su queste stranezze russe che aleggiano su Hunter Biden.

Tra l’altro, è forse utile sottolineare il contesto politico in cui parte considerevole di queste anomalie si verificarono: il coinvolgimento in Metabiota, il collegamento kazako e il presunto versamento di Elena Baturina sono tutti elementi che, lo abbiamo visto, risalgono al 2014. Ora, è pur vero che quell’anno si consumò la frattura tra l’amministrazione Obama e il Cremlino a causa della crisi ucraina. Tuttavia, è altrettanto vero che in quello stesso periodo Obama e Putin collaborarono per concludere il controverso accordo sul nucleare con Teheran, che sarebbe poi stato siglato nel 2015. Questo non per collegare in qualche modo gli affari di Hunter alle trattative che si tennero sull’intesa iraniana, ma semplicemente per rammentare che, nel 2014 e nel 2015, le relazioni tra Obama e Putin furono meno tese di quanto oggi viene talvolta riportato. Non sappiamo al momento se saranno prima o poi dimostrati legami diretti tra Hunter e Mosca. C’è però qualcosa che non torna. Qualcosa che – chissà – potrebbe un giorno definitivamente sovvertire la vecchia (e infondata) narrazione del Russiagate.

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Stefano Graziosi