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Ansa
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Londra non vuole chi non parla inglese (ma con chi lo studia fa affari d’oro)

La Brexit a due facce di Boris Johnson. Chiude le porte ai lavoratori europei ma salva un business da 23 miliardi di sterline

Nessun europeo a lavorare a Londra se non sa parlare bene inglese. Messo un punto fisso sulla Brexit, il premier Boris Johnson vuole un modello australiano. Vale a dire che, dopo la fine della transizione, saranno sbarrate le porte ai nuovi immigrati a bassa qualificazione e non a loro agio con la lingua inglese. Un paradosso visto che proprio l'insegnamento della lingua è un affare d'oro per Londra, terza economia del Regno Unito dopo immobiliare e finanza.

A portare denaro nelle casse inglesi sono i migliaia di studenti che d'estate, e non solo, si riversano in Gran Bretagna per impararlo l'inglese. E a pagare di più sono proprio gli ex partner europei. Un'economia che non viaggia tra paese e paese, ma, potremmo dire, da famiglia a famiglia o da scuola e scuola. Ma ancora più vitale per Londra. Tanto che il giro d'affari del settore educativo degli stranieri, dal corso di lingue fino alle prestigiose università, è valso 23 miliardi di sterline nel 2018.

Difficile rinunciarci, anche perché, come spiega Stefano De Angelis, delegato Astoi (l'associazione che raggruppa i tour operator) per i viaggi studio, le vacanze per imparare l'inglese «creano un indotto molto capillare, in cui anche la singola famiglia del Regno Unito ne trae beneficio ospitando i singoli studenti». Una sorta di welfare nazionale che permette a chi ha una camera in più di arrotondare lo stipendio con l'accoglienza, in gran parte di ragazzi europei. Quei ragazzi che, se l'inglese non lo imparano si vedranno chiudere le porte in faccia una volta che vorranno trovare lavoro.

Un paradosso ancor più per gli italiani, visto che su dieci ragazzi che sbarcano d'estate in Gran Bretagna, da Londra fino alla Scozia, per imparare la lingua ben quattro arrivano dall'Italia: circa 150.000 l'anno. «Un trend in crescita», spiega ancora De Angelis. Fino ad ora. Perché ad insidiare il primato c'è l'Irlanda. Sempre che il premier inglese giudichi l'accento irlandese sufficientemente buono da poter poi sbarcare a Londra quando si voglia invece lavorare.

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Anna Migliorati