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(Ansa)
Dal Mondo

Sulle armi negli Usa la fiera dell'ipocrisia e dell'ignoranza

Commentatori (italici) dopo la strage di Uvalde sono tornati alla carica con ritornelli e slogan contro le armi che nascondono una scarsa conoscenza del mondo Usa

All’ingresso dello Stato americano del Minnesota, provenendo dal Wisconsin, c’è un cartello raffigurante un fucile e una rivoltella. Poco sotto una scritta dice: “Puoi essere ateo, è un tuo diritto. Puoi rifiutare le armi, è un tuo diritto. Ma se un giorno un delinquente entrerà nella tua casa pregherai Dio che qualcuno armato arrivi il più presto possibile”. La frase è definitiva ma non deve ingannare, la questione delle armi nella società civile americana è una faccenda molto complessa che affonda le sue radici lontano nel tempo. Johnny, amico che abita in una cittadina ai confini ovest del Texas, mi ricorda che sul suo camino c’è un fucile da quando il governo diede al suo trisnonno quel pezzo di terra con il compito di difendere la nuova frontiera, ovvero da quando la fine dell’appezzamento coincideva con i confini degli Stati Uniti d’America.

Gli americani hanno deciso già da tempo, e più volte ribadito, che non è loro intenzione delegare il controllo delle armi al solo governo seppur nelle sue molteplici emanazioni. Perché a loro parere, e proprio per la questione culturale antica e radicata, è molto meno pericoloso piangere qualche strage compiuta da chi è evidentemente pazzo, che secondo loro potrebbe comunque essere fermato armando meglio chi sia in grado di reagire, che rischiare di non avere più libera difesa contro orsi e malviventi. Noi europei invece, per ragioni altrettanto culturali e storiche, a cominciare dall’essere stati invasi da decine di popoli durante gli ultimi 1.500 anni, abbiamo deciso di rinunciare a una parte della nostra libertà ritenendo, a torto o a ragione, di essere così più al sicuro. Gli Usa sono terra di grandi contraddizioni, lo dimostra quanto sta accadendo a proposito della pena di morte e della campagna per abolire l’aborto volontario. Così lo stesso amico texano, venuto in Italia e vista la tavolata alla quale sedevano alcuni bambini sotto i dieci anni, ci chiese se non fosse il caso di togliere le bottiglie del vino. Lo rassicurammo che nonostante tutti i problemi che abbiamo in Italia, a cominciare dal non essere liberi di difenderci come crediamo, non abbiamo grandi questioni di alcolismo infantile proprio per una questione culturale.

Non deve quindi stupire se gli Usa sono pieni di articoli sui giornali che ribadiscono come sia la mancanza di educazione genitoriale a causare tragedie come quella della scuola di Uvalda, proprio in Texas. Certamente c’è l’industria delle armi che crea posti di lavoro, circa 240.000 soltanto per le armi leggere, e a chi puntasse il dito sulla vendita “facile” bisogna ricordare che non è proprio così come la si dipinge. Se poi si guarda a Stati come l’Alaska, dove con una pistola non si ferma certo la carica di un’alce e neppure un grizzly, un’arma di medio calibro è senza dubbio più consigliata.

Ecco, allora, che guardare alla realtà americana come fanno i nostri benpensanti di sinistra, seduti nel salotto di Capalbio ad accusare e chiedere provvedimenti semplicistici, è ipocrita quando sintomo di scarsa conoscenza di quell’universo eterogeneo che sono gli Stati Uniti. Dove piuttosto bisogna capire perché la società, a partire dalla scuola, essendo troppo concentrata sulle “prestazioni” degli studenti piuttosto che sulle loro propensioni, non sia riuscita a intercettare i segnali di disagio di uno studente. Fino a creare in lui l’idea di vendicarsi di un sistema che lo aveva umiliato.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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