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(Ansa)
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A che gioco sta giocando Nikki Haley?

Nonostante i sondaggi la diano nettamente indietro in South Carolina, Michigan, Texas e California, l'ex ambasciatrice all'Onu non sembra avere intenzione di ritirarsi dalle primarie repubblicane. Qual è il suo vero obiettivo?

Ha detto che vuole restare in campo almeno fino al Super Tuesday del 5 marzo. Eppure non è esattamente chiaro quali effettive speranze possa nutrire Nikki Haley di conquistare la nomination presidenziale repubblicana. In South Carolina, dove si voterà il prossimo 24 febbraio, la media sondaggistica di Real Clear PoliticsDonald Trump avanti di 27 punti. In Michigan, dove gli elettori si recheranno alle urne tre giorni dopo, l’ex presidente ha un vantaggio di oltre 47 punti. Per l’ex ambasciatrice all'Onu, la situazione non migliora con gli Stati che voteranno il 5 marzo. Prendiamo i due principali: California e Texas (che mettono rispettivamente in palio 169 e 161 delegati). Secondo una rilevazione dell’Università di Houston, in Texas Trump avrebbe l’80% contro il 19% della Haley. Venendo alla California, l’ex presidente avrebbe oltre 50 punti di vantaggio sulla rivale. Non solo. È dal 1980 che il candidato che vince in California riesce poi a conquistare la nomination presidenziale del Gop. Alla luce di questi elementi, non è affatto chiaro come la Haley speri realmente di vincere le attuali primarie repubblicane. Probabilmente è consapevole di non avere chances concrete. E allora per quale ragione si ostina a restare in campo? È possibile formulare tre ipotesi.

In primo luogo, non è affatto escludibile che l’ex ambasciatrice stia negoziando dietro le quinte con Trump per ottenere una candidatura a vicepresidente. D’altronde, un eventuale ticket costituito dall’ex presidente e dalla Haley potrebbe rivelarsi vincente: la storia americana insegna che generalmente i ticket più competitivi sono quelli maggiormente eterogenei, in quanto capaci di federare le varie anime dei partiti e di attrarre elettori trasversali. Tuttavia, se fosse realmente in corso una trattativa, non è chiaro se alla Haley convenga attendere addirittura fino al Super Tuesday. I trumpisti duri e puri hanno già fatto sapere di non volerla come candidata vice. Ecco, se Trump selezionasse l’ex ambasciatrice come running mate, dovrebbe far digerire questa scelta alla sua ala destra. Il punto è che più la Haley resta in campo, più il livello dello scontro politico si alza e più l’ex presidente si troverà in difficoltà a farla eventualmente accettare ai suoi fedelissimi.

Una seconda ipotesi è che l’ex ambasciatrice resti ostinatamente in campo, scommettendo sui guai giudiziari di Trump. La Haley starebbe aspettando, in altre parole, che l'ex presidente esca eventualmente di scena, per poi presentarsi come unica sostituta disponibile. Se le cose stessero così, si tratterebbe di un piano rischioso. È pur vero che una corte d’appello ha appena negato a Trump l’immunità in riferimento all’incriminazione sul presunto tentativo di ribaltamento delle elezioni del 2020. Tuttavia si trattava di una sentenza abbastanza scontata. E comunque l’ex presidente intende fare ricorso alla Corte Suprema. È improbabile che Trump speri davvero che gli riconoscano l’immunità. La sua vera strategia legale è quella di rimandare il più possibile il processo, che avrebbe dovuto originariamente iniziare il prossimo 4 marzo: una strategia che, almeno per ora, sta dando i suoi frutti. In secondo luogo, è probabile che la Corte Suprema degli Stati Uniti ribalti la sentenza del Colorado che ha interdetto l’ex presidente dalle locali primarie presidenziali. Quella sentenza ha infatti applicato la clausola del Quattordicesimo emendamento sulle insurrezioni in assenza di una condanna definitiva per insurrezione. È quindi altamente verosimile che i supremi togati dichiarino Trump candidabile. E comunque la Haley rischierebbe anche nel caso di uno scenario opposto. Mettiamo caso che la Corte Suprema dichiari incandidabile l’ex presidente. Probabilmente quel pronunciamento avverrebbe quando Trump avrebbe già blindato matematicamente la nomination. A quel punto, la palla passerebbe alla Convention nazionale e, per quanto ufficialmente svincolata, la maggioranza dei delegati risulterebbe trumpista. Difficile che l’ex presidente non cercherebbe di darle delle indicazioni. E assai inverosimilmente farebbe convogliare quei voti sulla Haley. È più probabile semmai che spunti il nome di qualche figura non candidatasi alle attuali primarie repubblicane (come il governatore della Virginia, Glenn Youngkin).

La terza ipotesi, infine, è quella più machiavellica. E se la Haley stesse restando in campo come una sorta di “quinta colonna”? È vero: questa potrebbe sembrare fantapolitica. Ed è lo scenario oggettivamente meno verosimile al momento. Tuttavia c’è un “dettaglio” che non deve sfuggire. Nonostante le batoste rimediate in Iowa e New Hampshire e nonostante le prospettive non certo rosee che la attendono in South Carolina, Michigan, Texas e California, l’ex ambasciatrice, secondo Politico, continua a ricevere il supporto del potente network di finanziatori gravitante attorno al miliardario Charles Koch. Un network che notoriamente sta facendo di tutto per cercare di mettere i bastoni tra le ruote all’avanzata elettorale di Trump. Il sospetto allora è che la Haley si stia prestando a un gioco al massacro, esclusivamente finalizzato a tenere spaccato il Gop, in attesa di far deragliare l’ex presidente. Se le cose stessero così, l’ex ambasciatrice starebbe probabilmente già scommettendo su un proprio futuro presidenziale per il 2028. Eppure, anche in questo caso, si tratterebbe di una strategia politicamente pericolosa. La Haley rischierebbe di farsi attaccare addosso l’etichetta di Rino (“Republican in name only”): un’eventualità che, in caso, potrebbe far naufragare la sua carriera politica (come già accaduto a Liz Cheney e, in parte, a Mitt Romney). Per l'ex ambasciatrice sarà presto tempo di scelte difficili e delicate. Che cosa farà?

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Stefano Graziosi