Se lo Stato mi assolve, perché devo pagare l'avvocato?
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Se lo Stato mi assolve, perché devo pagare l'avvocato?

Due iniziative contro l'"ingiusta imputazione": una proposta di legge del deputato Enrico Costa, e un convegno a Milano del Comitato contro l'ingiustizia

L'ultima proposta di legge in materia l'ha presentata alla Camera Enrico Costa, avvocato penalista, deputato e responsabile del settore giustizia per Forza Italia. È un testo breve, un solo articolo che va a modificare la norma che dal 2002 regola le spese di giustizia. La proposta di Costa stabilisce: «Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l'imputato ha diritto di ripetere (cioè recuperare, ndr) dallo Stato tutte le spese sostenute per il giudizio».

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In definitiva, Costa chiede allo Stato italiano di rimediare a un'ingiustizia diffusa: quella che impone all'imputato assolto da una sentenza definitiva di pagare comunque le spese di giustizia e dell'avvocato. In termini giuridici, si tratta di "risarcimento dell'ingiusta imputazione".

Dietro al termine tecnico si nasconde in realtà un fenomeno molto diffuso nel nostro Paese. È quel che capita a chi viene rinviato a giudizio per un reato che non c'è e alla fine di una lunga battaglia legale, che comunque costa sofferenza e spesso si trasforma un incubo kafkiano, viene assolto definitivamente con formula piena. A quel punto si risolve l'ingiustizia giuridica, ma ne resta un'altra: perché all'imputato assolto nessuno rimborserà mai un euro di quanto ha speso in avvocati. Anche se gli euro, a volte, sono tantissimi e si sono trasformati in un disastro economico.

Tra 2015 e 2016, Panorama condusse un'insistente campagna per risolvere il problema. Ora, grazie al deputato Costa, si torna a parlare del la questione. A Milano, venerdì 17 febbraio, se ne discuterà anche in un convegno organizzato dal "Comitato contro l'ingiustizia personale e familiare" (dalle 14 presso la Fondazione Bracco, in via Cino dal Duca 8). Oltre a Costa, saranno presenti l'ex sindaco Gabriele Albertini e l'avvocato Daniela Missaglia, rispettivamente presidente e vicepresidente del Comitato; il senatore Giacomo Caliendo, già sottosegretario alla Giustizia; l'avvocato Giuseppe Melzi, vittima di un clamoroso caso di malagiustizia.

Non se ne parla mai, ma l'ingiusta imputazione in Italia è davvero un problema di massa. Basta pensare che in Italia si accumulano circa 1,2 milioni di nuovi processi penali all'anno e secondo il ministero della Giustizia le assoluzioni con "formula piena" - cioè quelle che riguardano chi non abbia commesso il fatto o stabilite perché il fatto non sussiste - sono circa 90mila all'anno.

Spesso c'è chi dal processo esce assolto ed economicamente rovinato, e c'è chi non riesce a fare fronte alla parcella. Gli esempi si sprecano, e a volte le spese legali sono letteralmente inarrivabili: la famiglia di Raffaele Sollecito, che nel settembre 2019 è stato assolto in pieno dall'accusa di essere l'omicida di Meredith Kercher, in 12 anni di processo ha investito quasi 2 milioni di euro tra avvocati e periti. Calogero Mannino, l'ex ministro democristiano che nel luglio 2019 (a 80 anni) è uscito assolto definitivamente e con formula piena dal processo per la presunta "Trattativa" tra Stato e mafia, dopo quasi 30 anni trascorsi tra procedimenti penali ingiusti, ha dovuto addirittura vendere la casa in cui vive per pagare i suoi avvocati. Altrove non è affatto così. In Gran Bretagna, per esempio, il giudice ha la facoltà di decidere che sia lo Stato a pagare le spese d'avvocato dell'imputato che ha appena dichiarato assolto. E questo avviene nella maggioranza dei casi in cui sia evidente che il processo non ha avuto un serio fondamento. Più o meno lo stesso accade negli Stati Uniti, dove il governo federale contribuisce a rifondere la parcella di chi viene scagionato.

Andrea Saccucci, avvocato romano e tra i massimi esperti europei di diritto internazionale, sottolinea per esempio che «in Germania, Russia e Ucraina il tribunale penale è competente a valutare la richiesta d'indennizzo dopo aver deciso un'assoluzione».

In altri 28 Stati il cittadino giudicato pienamente innocente può chiedere un risarcimento delle spese legali ad altre istituzioni: il governo o un altro tribunale. Saccucci propone un elenco così lungo da essere imbarazzante. In ordine alfabetico sono: Albania, Austria, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Moldavia, Monaco, Montenegro, Norvegia, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia e Ungheria. «In Italia» commenta Saccucci «abbiamo perso anni a dibattere sulle inutili norme che cercano di affermare la responsabilità civile dei magistrati. Invece la vera riforma di sistema sarebbe proprio questa: stabilire che il cittadino che viene assolto non deve pagare nulla».

Nel 2012, prima di Enrico Costa, ci aveva provato un altro deputato di Forza Italia, Daniele Galli: «Avevo presentato una proposta di legge che stabiliva l'obbligo di restituzione delle spese a chiunque venga assolto con formula piena» racconta Galli, che poi non è stato rieletto. «Mi pareva di introdurre un minimo principio di equità, invece la proposta non è stata mai nemmeno discussa».

Nel 2016, a metà della scorsa legislatura, l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, senatore di Area popolare, aveva presentato un disegno di legge, lungamente discusso Commissione giustizia, per un risarcimento almeno parziale dell'ingiusta detenzione. Anche se controfirmato in pochi giorni da 194 senatori su 315, un anno dopo il disegno Albertini è stato bloccato.
Probabilmente la proposta Albertini spaventava: anche se quattro anni fa la discussione in commissione Giustizia aveva posto un tetto al risarcimento (si prevedeva una spesa totale di 12 milioni di euro nel 2016 e di 25 milioni a partire dal 2017), si temeva forse che quella norma potesse aprire uno spiraglio verso una concreta responsabilità civile dei magistrati che sbagliano. Eppure il principio dell'ingiusta imputazione è più che corretto.

Ne è certo Giorgio Spangher, docente di Procedura penale alla Sapienza di Roma: «L'articolo 2 della Costituzione» dice «prevede un principio di solidarietà che troverebbe perfetta attuazione con il diritto all'indennizzo per chi viene assolto con formula piena. Andrebbe tutelata una fascia di cittadini con reddito intermedio, si potrebbe pensare a compensazioni fiscali».

L'unica obiezione possibile potrebbe riguardare forse la falla che si aprirebbe nelle casse dello Stato. Ma si potrebbe pensare a un fondo speciale, simile a quello che oggi esiste per le ingiuste detenzioni, magari con un tetto-limite per ogni risarcimento. Sarebbe un primo passo. In effetti oggi, in Italia, un imputato assolto può chiedere un indennizzo soltanto se è stato sottoposto a carcerazione preventiva: quando gli va bene, incassa 150-200 euro per ogni giorno che ha trascorso in cella da innocente, ma fino a un massimo di 516 mila euro. Con limitazioni assurde, però: in base all'orientamento giurisprudenziale, anche essersi avvalsi del diritto di non parlare con il pubblico ministero (un diritto riconosciuto dal Codice di procedura penale!) viene fatto valere come giustificazione dell'errore giudiziario che ha condotto alla detenzione illecita.

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Mesi fa, quando alla Camera si discuteva della riforma (poi abortita) che voleva porre l'ingiusta detenzione tra le cause dell'azione disciplinare contro i magistrati, sempre l'azzurro Enrico Costa aveva presentato un emendamento dove si sosteneva (correttamente) che il silenzio è un diritto di tutti gli imputati, colpevoli o innocenti che siano. Il principio, purtroppo, non è passato.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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