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Lo sci sta morendo?

Dopo i lockdown causati dalla pandemia ora sono siccità e costi dell'energia a mettere a rischio la tenuta di un settore da oltre 10 miliardi di euro. Che scommette sulla sua sopravvivenza investendo, anche a perdere

C'è chi si è spinto ad annunciare l'avvio della stagione a metà novembre. Chi promette ai propri appassionati di poter infilare sci e scarponi, alle quote più alte, nell'ultimo week end dello stesso mese. E gli altri che, con un pizzico più di prudenza, rimandano al 3 dicembre per dichiarare aperta la stagione dello sci e del turismo invernale di montagna. Tutti legati dallo stesso filo rosso e dallo stesso destino: compulsare quotidianamente le previsioni meteo e le tendenze sul medio periodo mentre fuori, sotto i giganti a riposo che sono gli impianti di risalita che solcano i pendii, lo scenario è quello di una tarda primavera. Fa caldo, troppo. In questi giorni di fine ottobre lo zero termico balla paurosamente intorno a quota 3000 metri ed è presagio di cattive notizie; perché lo scorso inverno le precipitazioni sono state inferiori anche del 70% rispetto alle medie e l'estate non è andata meglio.

C'è un esercito di oltre centomila persone che sta così, appesa su un filo sottile, sperando che dal cielo arrivi qualche buona notizia. "Non c'è pace per la Montagna Bianca Italiana" è l'incipit del dossier "Situazione Congiunturale Inverno 2022-2023" redatto da Skipass Panorama Turismo, l'Osservatorio Italiano del Turismo Montano. Sessanta pagine di tabelle e grafici, che proiettano sull'industria dello sci e della filiera intera tutte le fibrillazioni del momento attraversato dall'economia italiana e mondiale, con in più il segno ancora presente della stagione mozzata dal Covid nel 2020 e di quella interamente saltata nel 20212022 che ha scosso tutto il sistema dalle fondamenta lasciando in eredità un arretramento difficile da recuperare.

LA TEMPESTA PERFETTA

La tempesta perfetta è la somma di una serie di fattori: esplosione dei costi energetici, carenza d'acqua necessaria per la produzione della neve artificiale, riscaldamento globale e la crisi economica che sta colpendo le tasche degli italiani costringedoli a tagliare sui costi ritenuti non prioritari. Tradotto in numeri, significa che gli incassi sono previsti in crescita rispetto a un anno fa (quando, però, non hanno recuperato del tutto la situazione pre-Covid) ma i margini sono destinati a scendere. Sempre che nevichi, perché se gli operatori saranno costretti a imbiancare le pendici "da zero", cioè senza l'ausilio di precipitazioni significative, chi opera nel settore sa già che si andrà incontro a "una stagione in perdita".

"Preoccupati? Non si può non esserlo, ma siamo imprenditori e quindi si guarda comunque al futuro con la voglia di fare" spiega Valeria Ghezzi (presidente di ANEF, l'associazione che rappresenta gli esercenti degli impianti di risalita): "Non possiamo fermarci ancora perché abbiamo visto cosa è successo quando ci siamo dovuti fermare per il Covid e noi siamo la locomotiva dell'economia di intere valli e di pezzi di territorio che dipendono da noi".

"L'incertezza sui costi è il vero problema: ci sarà un incremento del fatturato complessivo di tutta la filiera, ma non è detto che sia sufficiente per coprire le spese che sono cresciute in maniera sensibile" aggiunge Massimo Feruzzi, responsabile dell'Osservatorio sul turismo invernale. In numeri significa che la previsione di fatturato complessiva per la stagione 2022/2023 è di 9,514 miliardi di euro (+8,8% rispetto a un anno fa) ma i 772 milioni in più saranno interamente bruciato dalla copertura dell'aumento dei costi e non sarà sufficiente perché i margini operativi scenderanno del 10% incidendo su un settore già fortemente provato.

I NUMERI DELLA CRISI

La realtà è che l'epoca prima della pandemia è ancora lontana. Nel 2021/2022 il turismo bianco ha generato ricavi per 8,7 miliardi di euro, stabile rispetto al 2019/2020 interrotto dalla pandemia e ancora abbondantemente sotto (-16%) ai 10,4 miliardi del 2018/2019. Un gap che difficilmente sarà colmato nei prossimi mesi anche perché gli osservatori sull'andamento delle prenotazioni stanno dando riscontri chiari: ci sarà una cesura importante tra i rari momenti di alta stagione (Natale, Capodanno e Carnevale) e il resto del periodo invernale in cui non saranno infrequenti "giornate infrasettimanali di vuoto assoluto". Tanto che c'è chi ipotizza anche aperture a rubinetto "solo nei periodi di affluenza garantita" come misura estrema.

Incidono enormemente i prezzi, già cresciuti con una dinamica che potrebbe non essere giunta al picco. Gli skipass saliranno dell'11,8%, gli alberghi dell'11,6% (+13,5% nei week end e in altissima stagione), ristorazione e bar del 10,4% e i servizi collaterali come le scuole sci del 6,8%. Una settimana bianca costerà mediamente 1.308 euro a persona e 3.400 euro a nucleo familiare a patto che ci sia un solo figlio e di età inferiore agli 8 anni, altrimenti la cifra cresce sensibilmente. E per un semplice week end non va meglio: 487 euro a persona e 1.412 per famiglia.

"LO SCI TORNA A ESSERE UNO SPORT PER RICCHI"

Non è un problema solo di oggi. "I costi della pratica sportiva in montagna potrebbero subire un vertiginoso aumento, portando anche una sostanziale modifica del profilo degli sciatori" si legge a pagina 2 del report: "Si manifesta la concreta possibilità che lo sci torni agli albori, ad essere cioè uno sport per ricchi". Una clientela selezionata e che ha grandi capacità di spesa, tagliando fuori chi negli ultimi lustri si era avvicinato alle piste rendendo concreto il boom di tutto il settore.

"Il rischio che lasci questa eredità è concreto" spiega Massimo Feruzzi. Lo sci sta morendo? "No, assolutamente. Semmai cambia forma perché l'appeal della montagna resiste e si rinnova adeguando l'offerta alla domanda". Operazione oggi rischiosa dovendosi scontrare con un mercato in cui, al di fuori degli appassionati che non rinunciano ai loro spazi sugli sci, la grande maggioranza è obbligata a fare di conto per ottimizzare il proprio portafoglio e alcuni mercati tradizionalmente ricchi come quello russo sono fermi.

COME SARA' LO SCIATORE DEL FUTURO

Non è detto che ci siano solo indicatori negativi, però. Insieme al ritorno dei gruppi, anche di stranieri, che porteranno al tutto esaurito nei periodi di Natale e Capodanno con buone prospettive anche per Carnevale, la tendenza che emerge nello studio degli operatori di settore è la nascita di una nuova tipologia di sciatore. In gergo si chiama "No Crowds" e sono identificati come coloro che "antepongono la certezza di poter vivere la montagna innevata godendo di ampi spazi, lontano dalla folla delle piste negli orari di punta". Non code agli impianti ma winter trekking, scialpinismo, ciaspolate una serie di attività ecologiche e senza dover mettere in conto la spesa per funivie e seggiovie.

E' un cluster su cui investire anche perché il futuro è pieno di incognite. Oltre a quelle legale ai parametri economici, c'è il riscaldamento globale che sta cambiando la faccia alle nostre montagne. "Le stazioni sciistiche sotto i 1.000 metri sono destinate a scomparire" ha detto il glaciologo italiano Franco Secchieri nelle scorse settimane. Parere condiviso anche da David Reynold della Università di Calgary: "Dal 2025 le località con livello base a 1.200/1.500 metri avranno difficoltà a mantenere la neve sui pendii più bassi". Non c'è pace, insomma, per la montagna bianca italiana (e non solo) alla vigilia di una stagione che sarà di trincea. La parola d'ordine è non arrendersi, anche se il futuro inquieta.


MONTAGNE VERDI... A FINE OTTOBRE

Screenshot da webcam 27 ottobre 2022

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Giovanni Capuano