Negozi, spesa e lavoro, le nuove abitudini create dal coronavirus
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Negozi, spesa e lavoro, le nuove abitudini create dal coronavirus

Quasi un italiano su tre continuerà a fare acquisti di generi alimentari online o a comprare vestiti via internet, più di un terzo vorrebbe proseguire con lo smart working. I dati di una ricerca di UM

L'attesa è finita. Oggi ha riaperto praticamente tutto, inclusi i parrucchieri, o meglio i servizi non ancora disponibili sono l'eccezione, non più la regola. Eppure, vuoi per non intasare i mezzi pubblici, un po' per paura di contagiarsi o di partecipare a riti monchi, che sono il simulacro di quelli precedenti, il ritorno alla normalità è ben lontano. Non solo per il buon senso dettato da governatori e virologi.

In molti, durante il lockdown, hanno potuto apprezzare le comodità dell'e-commerce (addirittura per il 75 per cento di chi ha fatto una transizione online, era la prima volta); in tanti, dopo le difficoltà iniziali e i ritardi, suppliti in parte dalle iniziative dei negozi di quartiere, hanno capito che caricarsi buste e bustoni della spesa non è il massimo della vita. Specie se la fila al supermercato non rappresenta una scappatoia per prendere un po' d'aria, ma una scocciatura. Del tempo rubato che si potrebbe destinare ad altro.

Il coronavirus ha scavato un solco nelle nostre abitudini, ha fatto assaggiare riti che, per parecchie persone, diventeranno la norma. E dunque il 28 per cento degli italiani afferma che continuerà a fare la spesa online, il 26 per cento acquisterà anche i vestiti via internet. Specie perché le norme per la sanificazione di camerini e scaffali non paiono chiarissime, ma questa è una sensazione. Il dato numerico lo fornisce una ricerca condotta da UM - Universal McCann Italia, un network di comunicazione globale appartenente al gruppo IPG Mediabrands. Uno studio che ha coinvolto vari Paesi, incluso il nostro. È un sondaggio su un campione, dunque non ha pretese di scientificità e verità assoluta, però è utile per annusare l'aria che tira. Per confermare che niente sarà come prima. Anche a pandemia cessata.

A maggior ragione perché c'è un altro elemento importante che emerge dalla ricerca, con una percentuale ancora più marcata delle precedenti: il 34 per cento degli intervistati vorrebbe continuare a lavorare da casa. Chi ha provato lo smart working, almeno in un caso abbondante su tre, non tornerebbe indietro. Cioè, in ufficio.

Certo, è un desiderio, non un capriccio, si farà quello che la propria azienda richiede. Per turni, a scaglioni, non tutti ora, domani chissà. La stima, per il 2020, è che i consumi caleranno fino al 25 per cento, a causa della pandemia ma, subito dopo, per colpa della paura di rimanere senza un lavoro. Quindi a distanza o in presenza, importa fino a un certo punto. L'importante è che un impiego ci sia: «La generazione più giovane, quella che nel mondo del lavoro deve ancora entrare, dichiara che il proprio principale timore sia un forte rallentamento nel raggiungimento delle proprie ambizioni professionali» si legge nel documento. Come se gli strascichi del coronavirus fossero un tappo di ragionevoli ambizioni di carriera.

E le vacanze? Anche qui c'è un interessante punto da considerare. Nonostante il bombardamento di messaggi, le mille previsioni circa la possibilità di andare al mare, in montagna, prendere il treno, la nave o volare, solo il 10 per cento degli italiani sta pensando concretamente a come trascorrere i mesi estivi. Le priorità sono più a portata di mano, meno incerte: una gita fuori porta, stare all'aria aperta con gli amici, andare al ristorante (desiderio condiviso dal 38 per cento degli intervistati) o al cinema (per il 27 per cento).

Tutti questi fenomeni si riflettono anche sulla comunicazione pubblicitaria: «In televisione, che vale sempre oltre il 40 per cento degli investimenti sui media, non abbiamo mai avuto audience così elevate e, per contro, così pochi inserzionisti» sottolineano da UM. Se durante il lockdown si sono pressoché azzerate le affissioni, l'annullamento di grandi eventi come Europei e Olimpiadi avrà una sua inevitabile incidenza.

«Nel ruolo che abbiamo e che sempre di più vogliamo avere nei confronti delle aziende, c'è la consulenza strategica. Per questa ragione abbiamo investito in una ricerca proprietaria, per aiutare i nostri clienti a interpretare i cambiamenti nei comportamenti dei consumatori: tradurre le loro paure e preoccupazioni in scelte da intraprendere, strumenti e canali da attivare, o non attivare. Come agenzia media, abbiamo il dovere di leggere il presente per interpretare il futuro» spiega Carlo Messori Roncaglia, Ceo di UM Italy.

messori-roncagliaCarlo Messori Roncaglia, Ceo di UM Italy

«La nostra industry» aggiunge «è particolarmente coinvolta, perché se i consumi si contraggono, i nostri clienti non comunicano. Le nostre stime dicono che il mondo digital soffrirà meno perché ha soglie d'ingresso inferiori ed è l'unico media oggi che riesce a garantire una grande efficienza in termini di pianificazione di targeting. In un mondo che sta accelerando in quella direzione, ci saranno più opportunità». Con il boom dell'e-commerce che potrà consolidare ancora di più questa tendenza.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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