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(Ansa)
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Le ombre sul mondo della ginnastica ci portano al confine tra severità e violenza

Aumentano gli episodi e le denunce di ginnaste azzurre di violenze fisiche e verbali subite da alcuni allenatori che sarebbero andati oltre il loro mandato «educativo» in nome del risultato

Le accuse di alcune ex atlete di ginnastica ritmica che hanno raccontato di aver ricevuto vessazioni ed abusi psicologici se non violenze fisiche vere e proprie hanno scosso il mondo dello sport. Episodi che hanno coinvolto la nostra Nazionale di Ginnastica e Ginnastica ritmica che medaglie, successi e gloria hanno regalato all'Italia. Ma a che prezzo? Fin dove ci si può spingere? Qual è il limite che non si può superare e forse è stato superato troppe volte?

«Nella ritmica le ginnaste sono sottoposte ad uno stretto regime alimentare e ad un mantenimento del peso molto duro. Questo scatena i Dca (disturbi del comportamento alimentare) di cui ci occupiamo noi psicologi dello sport perché i tecnici se ne lavano le mani per loro l’importante è portare a casa le medaglie»-commenta Luca de Rose Psicologo dello sport e psicoterapeuta Squadra olimpica italiana

Quanto conta il peso?

«Purtroppo ancora oggi in molti sport come la ritmica, il karatè, il judo e tante altre discipline è fondamentale. Gli atleti devono mantenere un peso specifico per la loro categoria e per le donne che hanno il ciclo mestruale (che porta una variazione anche di 4-5 kg) è difficile mantenere quel peso. Quindi nel momento in cui un’atleta in gara ha dei chili in più che lo mettono fuori dalla sua categoria, le alternative che offre il giudice sono due: o andare a correre o cambiare categoria. In quel momento scelgono praticamente tutti di andare a correre per sudare e perdere liquidi ed ho visto anche tante atlete purtroppo chiudersi in bagno cercando di vomitare».

Cosa ne pensa delle denunce delle ginnaste?

«Non conosco i casi nelle specifico, in passato si parlava di questi episodi ma oggi credo succedano con più frequenza perché la società impone dei canoni di perfezione estetica maggiori dovuti ai social. Così gli atleti per mantenere standard sempre più rigidi rinunciano alla loro vita sociale, evitano di uscire a mangiare una pizza o a bere un birra e qualsiasi occasione che possa in qualche modo pesare sulla loro performance fisica.In più ad aggravare la situazione ci sono coach che non avendo lavorato sulla comunicazione e sulla gestione della relazione con l’atleta, usano parole troppo forti che in un organismo in crescita sia fisica che mentale di ragazzi/e scatenano una fragilità che arriva ad un punto che esplode. I coach non capiscono che nella testa dell’atleta hanno un ruolo, rappresentano una figura importante,quindi qualsiasi cosa detta o fatta anche uno sguardo è in grado di influenzare il loro benessere psicofisico. Gli allenatori hanno il potere di salvare una vita ma anche di distruggerla».

Cosa si dovrebbe fare?

«È necessario intervenire sulla formazione dei coach per evitare che si scatenino meccanismi di ossessione nei confronti dell’atleta in grado di scatenare dei traumi. Inoltre bisogna rivedere le categorie di peso che sono troppo rigide da rispettare e inducono comportamenti al limite sia nei coach che negli atleti. Voglio poi sottolineare che non ci sono solo i casi delle ginnaste. Le cose che stanno venendo fuori non sono nuove e sono comuni a tanti altri sport ma sono pochissime le federazioni che prestano attenzione a questa cosa. Una federazione che fa la differenza è la Ficg che ha creato un portale che si chiama “Tutela Minori” dove chiunque può denunciare un abuso fisico, sessuale o verbale Noi tecnici abbiamo anche denunciato ad esempio un altro tipo di “abuso” di tipo sessista di alcuni sponsor che fanno differenza sulle divise degli atleti uomini e donne. Ad esempio gli uomini hanno la scritta Italia sulle spalle e le donne sul sedere perché ovviamente lo sponsor mette la scritta dove nell’immaginario collettivo cadono gli occhi».

Ma a raccontarci cosa succede nel mondo dello sport, anche a livello più amatoriale, e giovanile è Tiziana Boldrini, mental coach, educatrice, impegnata in prima persona in collaborazioni con società sportive per aiutare atleti ed allenatori.

Cosa ne pensa del caso delle ginnaste?

«Nello sport da sempre si applicano disciplina e regole per ottenere dei risultati, il problema è quando queste vanno a sfociare in umiliazioni. Se fosse vero quando denunciato dalle ginnaste sarebbe terrificante che siano ancora validi certi comportamenti di 20 anni fa dove i mental coach usavano metodi maltrattanti per ottenere risultati. Infatti spesso accadeva che attraverso l’umiliazione ed i rimproveri si metteva l’atleta in condizioni di disagio difronte ai suoi compagni di squadra per ottenere un effetto rivalsa, creando un brutto ambiente per tutti.Questo oggi non è concepibile perché con lo sport gli adolescenti sono già catapultati in un modo di adulti dove devono bruciare una serie di tappe rinunciando anche alla loro vita sociale, quindi è importante avere l’approccio pedagogico giusto».

Ritiene possibile che nel mondo dello sport ci siano questo genere di vessazioni sugli atleti?

«Se così fosse sarebbe un problema grave all’interno dello sport italiano. Ma sono in molti ad essersi chiesti nel caso delle ginnaste perché abbiano denunciato dopo 10 anni. Non so come andrà a finire ma spero che tutti aprano gli occhi soprattutto i genitori perché sono cose che potrebbero accadere in tutti gli sport. Nella pallacanestro mi è capitato ad esempio di vedere mental coach sostenere che gli insulti e le umiliazioni servano. Infatti 30 anni fa era normale ed oggi ci sono ancora adulti nostalgici che si muovono così. Non devono essere confusi i contenuti con il modo.

Cosa consiglia?

«Io consiglio di fare attenzione a chi si affida i propri figli. Il desiderio di raggiungere dei risultati da parte dei genitori non deve essere più forte del benessere psicofisico dei ragazzi, perché prima dell’atleta c’è la persona, poi non ci meravigliamo se i ragazzi lasciano lo sport, che non era il prodotto preconfezionato che sì aspettavano, ma ben altro».

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Linda Di Benedetto