Gilles Villeneuve
Il pilota Gilles Villeneuve, morto l'8 maggio 1982 a Zolder, in Belgio (Ercole Colombo/Motorsport Images).
News

Gilles Villeneuve 40 anni dopo, un eroe tra epica e motori

L’8 maggio 1982 il pilota canadese perdeva la vita in uno schianto con la sua Ferrari durante le prove del Gran premio del Belgio.

Gilles Villeneuve è uno dei piloti che risiede nell’Olimpo della Formula 1. La Ferrari numero 27 è il suo simbolo, i ferraristi che lo hanno visto in azione i suoi fedeli, contagiati da quella «febbre Villeneuve» che a 40 anni di distanza si percepisce ancora se ci si avvicina alla figura e alle gesta di Gilles. Farlo è facile, perché chi non l’ha vissuto e ne fosse incuriosito, troverà facilmente in rete materiale buono per emozionarsi e divertirsi, per sorridere, per commuoversi, per rimanere senza fiato.

E così si può gustare il duello senza esclusione di colpi tra Villeneuve e Renè Arnoux avvenuto in Francia nel 1979, oppure il giro su tre ruote in Olanda nello stesso anno, oppure ancora i controsterzi sotto il diluvio in Canada nel 1981, con la vettura ormai a pezzi e la telecronaca del compianto Mario Poltronieri che con l’espressione «Vediamo se Villeneuve avrà il buon senso di fermarsi ai box…ecco, naturalmente no» restituisce l’incredulità con cui si assisteva alle gesta di Gilles. E poi, ancora, ci sono le immagini del «tradimento di Pironi» nel gran premio di Imola 1982 e lo schianto mortale, avvenuto 15 giorni dopo, che impressiona e che lascia interdetti.

Ancora, tra i documenti dell’epoca sono straordinari gli scatti di Ercole Colombo (a cui dobbiamo anche la copertina di questo pezzo) che per una vita ha immortalato la Formula 1, fino a diventarne membro della Hall of Fame. Colombo ritrae il Villeneuve più spericolato, ma anche quello tenero: gli occhi di Gilles nel suo casco, così come l’immagine della carezza di Enzo Ferrari, sono mirabili e simboliche di un ragazzo profondo e complesso.

Un mito, quindi, eppure al confronto con i campionissimi della categoria, il canadese impallidisce, perché i suoi numeri sono modesti. Sei i gran premi vinti, due le pole position, zero i titoli mondiali. Guardando ai dati, Gilles non è nemmeno paragonabile a piloti come Ayrton Senna, che di pole position ne ha ottenute 65, o Michael Schumacher, che ha vinto sette campionati del mondo, o Lewis Hamilton, capace di vincere addirittura 103 gran premi.

Villeneuve è uno di quei ricordi che non ingiallisce e la sua storia, le sue imprese, la sua morte lo sottraggono al dato statistico e per consegnarlo alla leggenda, all’eroismo, all’epica. Gilles rappresenta un mondo differente rispetto a quello odierno, in cui si misura tutto, in cui si vive di graduatorie e di percentuali. Il diluvio di dati vale per l’economia, per la politica, e così anche per lo sport. Tutto è misurabile, tutto ha un perimetro. La leggenda e l’impresa, così come il gesto del campione lasciano il campo a ciò che deve prevalere: il risultato, il ritorno di un investimento, l’aspetto commerciale.

A questo modo di vivere e di pensare si sottrae puntualmente chi vive con il metro della fantasia, ricercando e regalando l’emozione, lasciandosi guidare dal talento. E Gilles Villeneuve è proprio l’elemento naturale di questo terreno: il suo modo di intendere le corse, così come la sua vita costellata di aneddoti divertenti e clamorosi resiste alla logica matematica e sfugge alle tabelle, risalendole tutte dal fondo a cui lo relegano i dati e issandosi tra quei pochi che restano e resteranno memorabili.

Perché chiedersi «chi era Villeneuve» significa scoprire che Gilles è uno che si è avvicinato alla Formula 1 vincendo il campionato del mondo di motoslitte, e che quando in Formula 1 è arrivato, dichiarando due anni in meno di quelli effettivi per non sembrare troppo vecchio, dopo un solo gran premio disputato è stato chiamato da Ferrari in persona, per cui ha guidato sempre, fino allo schianto fatale. Diventando un mito.

E del mito Villeneuve ha molto. In primo luogo, come l’Achille di Omero, ha sempre agito senza pensare alle conseguenze. Da questo modo di correre scaturiscono le sue imprese più memorabili e le immagini che lo caratterizzano: ogni vittoria fu un’impresa e ogni giro era buono per un gesto imprevedibile, per un sorpasso impossibile, per un azzardo che avrebbe determinato una rimonta impensabile, o una carambola da cineteca.

La morte è l’altro tema che lo avvicina al mito. Villeneuve, come tutti i piloti di Formula 1, ha vissuto facendo i conti con la morte, certo che quando il destino lo avrebbe chiamato, lo schianto sarebbe avvenuto e lo avrebbe portato via. Lo pensava Gilles proprio come lo pensano gli eroi omerici. In quest’ottica, Villeneuve smette i panni di Achille per indossare quelli di Ettore, un uomo dinanzi al suo destino, alla sua morte, al suo desiderio di fare qualcosa di grande per lasciare un segno, un’impronta. Villeneuve di Ettore conserva la bontà, la lealtà, la consapevolezza della fine e il fatto di avere – e quindi di lasciare – una bellissima famiglia. E anche il tifo. Sì, perché come tutti tifano per Ettore quando si legge l’Iliade, tutti hanno tifato la Ferrari numero 27 dell’Aviatore. Salut, Gilles.

I più letti

avatar-icon

Marcello Bramati