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(Ansa)
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L'Esercito Italiano ha bisogno dell'aumento delle spese militari

Organico poco numeroso e poco addestrato, mezzi da aggiornare. Le eccellenze dei nostro reparti speciali non coprono il problema globale della nostra difesa, per troppi anni poco considerata dalla politica. E bisogna correre ai ripari

La guerra in Europa non è più un’ ipotesi lontana. Lo dimostra la famosa circolare dello Stato maggiore dell'Esercito che ha chiesto ai vari comandi di "valutare le domande di congedo anticipato" e che "tutte le unità in prontezza" siano alimentate al 100% con personale da addestrare. Una guerra quindi che viste le premesse potrebbe interessare anche noi italiani. Ma qual è la situazione numerica ed operativa del nostro Esercito?

Le Forze armate italiane dispongono complessivamente di oltre 170mila soldati di cui 89.400 nell’Esercito (il resto sono Aeronautica e Marina Militare) e sono considerate il 12esimo esercito più potente al mondo secondo Global Firepower. Una potenza confermata anche dai fondi investiti nella Difesa. Nel 2020 infatti l’Italia ha speso circa 23 miliardi di euro nelle proprie forze armate, pari a circa l’1,30% del PIL mentre nel 2021 la spesa è aumentata arrivando quasi a 25 miliardi (1,41% PIL)Investimenti che a quanto sembra non sono stati comunque sufficienti. Per questo in Parlamento si è parlato di incrementare ancora la spesa militare “verso il traguardo del 2% del PIL” per l’oggettiva mancanza di personale e mezzi in grado di fronteggiare un’emergenza bellica immediata con una previsione di spesa che sfiora i 26 miliardi.

La verità è che l’Esercito del nostro Paese da 50 anni dal punto di vista militare non è più operativo se non nei teatri di guerra o in missioni di pace all’estero, dove l’Italia è impegnata in 34 nazioni con i suoi corpi d’élite. A questo proposito dobbiamo ricordare che i nostri corpi speciali sono universalmente riconosciuti come vere e proprie eccellenze che il mondo invidia e vuole copiare; mentre sul territorio italiano il personale militare si è occupato solo delle emergenze: terremoti, operazione Strade Sicure, incendi, ricerca persone scomparse e supporto alla sanità pubblica come abbiamo visto durante la pandemia, sono stati i compiti assegnati ai soldati italiani negli ultimi decenni. Insomma, personale di certo non più abituato ad operazioni reale di offesa o difesa. T

utto quindi viene demandato all'addestramento, sulla cui efficacia ci sono però dei dubbi. Sono in molti infatti a sostenere che effettivamente solo il 20% del nostro Esercito sia pronto al combattimento. Mentre sul fronte armamenti ad oggi il Ministero della Difesa non rilascia numeri ufficiali sulle armi ed i mezzi per motivi di sicurezza ma secondo alcuni dati trapelati non si sbaglia nel dire che a nostra disposizione abbiamo 200 carri armati che non sono di ultima generazione. Si tratta infatti di cingolati con oltre 20 anni di anzianità e in difficoltà di manutenzione, come ha segnalato anche questa mattina a Radio24 il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè che ha parlato di «mezzi vetusti».

Tutto questo è frutto di scelte decennali della politica che, in una situazione di pace consolidata in Europa, ha via via ridotto non solo i soldi ma anche importanza all'attività della difesa. Basti pensare a chi, come il Movimento 5 Stelle, ad esempio è sempre stato contrario all'acquisto di nuovi aerei F35.Tutte scelte che possiamo definire «pacifiste» e per certi versi anche «logiche» vista la situazione in Europa; oggi che però il quadro è cambiato ci troviamo costretti ad inseguire l'ennesima emergenza. Ma se questo in contesto dovessimo entrare in guerra l’Italia sarebbe pronta?

Come dobbiamo anticipato solo il 20% delle forze armate è addestrato perché i corsi di addestramento sarebbero troppo costosi e non indispensabili visto l’impiego che è stato fatto dei militari in attività del tutto esterne al contesto militare. Addirittura qualcuno voleva usare l’esercito per asfaltare le strade. La verità è che solo oggi ci si è accorti a causa della guerra in Ucraina dell’impiego dei militari italiani in operazioni che non hanno nulla a che vedere con la prima mission prevista dalla Costituzione ossia difendere i confini dello Stato. Per questo la difesa è corsa ai ripari con la famosa circolare inviata ai comandi che nonostante sia ordinaria come dichiarato dallo SME ha di nuovo la richiesta di trattenere in servizio i militari in scadenza della ferma. Significa che il soldato al termine di un anno o di 4 anni se vuole può rimanere in servizio, una cosa mai avvenuta prima d’ora, soprattutto in vista del taglio dei 20mila militari che era previsto nel 2024.Il rischio concreto è che le forze armate possano fare la figura che la Sanità ha fatto durante la pandemia. Ossia non essere in grado di fronteggiare un’emergenza di cui ad oggi non si conoscono le dimensioni e molto dipende da quale sarà il livello di escalation. Al momento quello che oggi è normalmente gestibile domani potrebbe sfuggire di mano come è già accaduto durante la Pandemia che ha trovato l’Italia impreparata.

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Linda Di Benedetto