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Adolescenti: perché mettono la loro vita in gioco

Parla lo psicoterapeuta: "Obbligati a essere popolari, i ragazzi hanno paura del futuro e sfidano la morte. Ma il loro narcisismo è anche colpa nostra".

Negli ultimi giorni due storie di cronaca hanno riacceso i riflettori su un fenomeno che appare preoccupantemente diffuso: la voglia degli adolescenti di mettersi in mostra con azioni audaci, che a volte hanno esiti tragici. Sfide online che diventano sempre più pericolose, con rilanci continui a spingersi sempre un po' più in là nella beffarda sfida alla morte.

Non onnipotenti, ma fragili

Il blackout game, pratica di autosoffocamento che si è portata via il quattordicenne milanese Igor Maj e la mania del selfie estremo che probabilmente ha fatto precipitare un altro adolescente, Andrea Barone, nel condotto dell'aria di un centro commerciale sempre a Milano, sono casi che noi adulti tendiamo spesso a bollare, con una certa dose di superficialità, come tragiche conseguenze del senso di onnipotenza degli adolescenti.

"Niente di più sbagliato", spiega a Panorama.itMatteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano, che da anni si occupa di adolescenti e anche di dipendenza tecnologica. "L'assunzione di comportamenti a rischio in adolescenza esiste dalla notte dei tempi, la percezione è che siano in aumento perché di recente ci sono stati alcuni eventi clamorosi ravvicinati. In adolescenza da sempre c'è la propensione a guardare in faccia la morte, ma non si tratta di senso di onnipotenza o di stupidera, io penso che sia proprio il contrario".

"Finita la vera epoca dell'onnipotenza, che è l'infanzia", racconta Lancini, "l'adolescente entra in contatto con le verità anche depressive della vita: il suo corpo è mortale. Una volta c'erano le corse folli in motorino, i film dell'orrore, per quel brivido che dà costringersi a fare cose paurose. Questa ricerca della paura è un tentativo, anche inconsapevole, di avere un controllo attivo sulla morte. A questa età bisogna farci i conti".

La sfida è sempre più social

Se la necessità di mettersi alla prova è una delle motivazioni scatenanti per comportamenti rischiosi come quelli dei due ragazzi che hanno perso la vita negli ultimi giorni, quello che accomuna i due eventi è il fatto che le sfide cui i ragazzi si sottoponevano avevano come teatro i social network. "Anche qui si fanno molte semplificazioni quando si dice che la rete è la responsabile di tutto", precisa lo psicologo. "Internet si è diffusa in un contesto sociale e ambientale di un certo tipo. Certo è un ambiente di straordinaria rilevanza per le nuove generazioni, ma siamo noi adulti che lo abbiamo costruito e dato ai ragazzi come parte fondante della vita".

E qui Lancini chiama in causa i genitori, protagonisti del suo più recente libro Abbiamo bisogno di genitori autorevoli, edito nel 2017 da Mondadori. "La ricerca di popolarità e di successo da parte di questi ragazzi si inquadra in una società nella quale anche gli adulti mettono sempre più importanza nell'esserci, nell'apparire, nel farsi selfie e avere riscontri positivi". Ed ecco il tema centrale del pensiero di Lancini: "Il problema degli adolescenti non è la trasgressione, non fanno ciò che fanno per disubbidire, ma per tollerare quote di delusione. La trasgressione era tipica delle generazioni precedenti, che dovevano opporsi a genitori autoritari, che vietavano e punivano, ponevano molti limiti, dicevano molti no".

Cosa è cambiato oggi? "Ora stiamo crescendo una generazione di figli unici, con l'imperativo di avere tanti amici, di essere popolari fin dalla più tenera età. I bambini vengono socializzati sempre prima, gli si vieta la solitudine, e quando diventano adolescenti non si sentono mai abbastanza popolari e belli", sostiene Lancini. "Secondo me abbiamo adultizzato l'infanzia e infantilizziamo l'adolescenza".

Riprendere il controllo

In pratica mettiamo i telefonini in mano ai nostri figli a partire dall'età di 8 anni, li spingiamo a svolgere mille attività e ad avere tanti amici, poi quando diventano adolescenti proviamo a riprendere il controllo e a mettere i famosi paletti che aiutano a crescere, ma ormai è troppo tardi. "Quei paletti non li puoi introdurre a 13 anni, dopo un'infanzia tutta espressiva, dalla quale è stata bandita la solitudine". Non si può provare a imporre il vecchio modello autoritario dopo che abbiamo cresciuto i figli, in tutt'altro modo.

Lancini ci tiene a sottolineare di non essere un nostalgico dell'autorità, ma l'autorevolezza dei genitori, quella sì gli manca un bel po'. E quella andrebbe esercitata da subito, non allo scoccare della pubertà. "All'improvviso ci rendiamo conto che i nostri figli passano la maggior parte del loro tempo con la faccia dentro a uno schermo e cominciamo a cercare di proibire, limitare, punire. Ma intanto non sappiamo nulla di quello che avviene nella loro vita online e poi l'ambiente di internet è fuori da qualsiasi controllo".

Certo, in una società molto più paurosa di quella in cui siamo cresciuti noi che siamo adulti adesso, ha fatto molto comodo togliere i figli dai cortili, dai giardini e della strada e saperli in casa a fare i videogame. "Abbiamo preso i corpi dei nostri figli e li abbiamo messi sotto sequestro: i videogiochi hanno sostituito le battaglie in strada, quelle sfide fisiche che procuravano qualche sbucciatura e consentivano ai bambini di mettersi alla prova con i coetanei, maschi e femmine".

Paura del futuro

"Certo non è tutta responsabilità della famiglia e della scuola", precisa Lancini. "Sono cambiati i modelli di identificazione è aumentato enormemente il potere orientativo dei coetanei. Un bambino di oggi ha conosciuto a 10 anni tanta gente quanta quelli della mia generazione avevano avuto modo di conoscere una volta arrivati all'Università. Oggi i bambini sono oggetto di un marketing potentissimo a partire dai due anni. Insomma famiglia e scuola hanno molta concorrenza nelle influenze alle quali sono sottoposti i ragazzi. Il potere orientativo degli altri è molto forte e se non ti senti popolare sono guai. In certi casi letteralmente è meglio essere popolare e morto che vivo ma trasparente".

Ed ecco che "in soggetti con grosse difficoltà evolutive", si fa strada la tentazione di gesti forti, di grandi azioni, dal selfie estremo, al blackout, alla balena blu. Ci sono ragazzi più vulnerabili di altri che ci cascano, soprattutto se si sentono bloccati, privi di prospettive future. "Il mercato del lavoro è cambiato, oggi non sappiamo quali saranno il 50% dei lavori che faremo nel 2025, non ci sono certezze. E in questi anni le politiche adulte per le nuove generazioni non sono state delle più favorevoli: abbiamo disboscato il pianeta, plastificato il mare e forse abbiamo anche un po' esagerato nel far capire agli adolescenti che il loro futuro lavorativo è un'incognita".

In quest'ottica che ruolo può avere l'idea, che molti giovani hanno, che una buona soluzione sia quella di cercare di diventare famosi sul web? "Oggi tutti i mestieri hanno a che fare con internet, che questa sia solo la ricerca di una facile scorciatoia è quello che sembra a noi. In realtà, a detta di molti più esperti di me, chi è diventato uno Youtuber o un influencer ha sviluppato competenze importanti, che poi il mercato gestito da noi adulti sfrutta per fare soldi. Sì, è cambiato il modo di realizzare alcune carriere. Un tempo per fare il musicista ti chiudevi in uno studio di registrazione, realizzavi un demo e lo sottoponevi a una casa discografica. Oggi ti fai conoscere online, è così che è nato il genere trap che piace tanto ai ragazzi".

"Come è andata oggi su internet?"

Questo è il quadro, con le sue criticità, i suoi rischi e le opportunità. Veniamo alle contromisure, ciò che possiamo fare noi adulti per arginare il pericolo. "Oggi", spiega Lancini, "la domanda che andrebbe fatta ai ragazzi, oltre al trito 'come è andata a scuola' è ' come è andata oggi in rete?'. Continuiamo a non considerare il fatto che quello che succede su internet è reale come ciò che accade fuori. Si tratta di un universo straordinario di relazioni, di videogiochi con milioni di utenti, di mondi di una complessità incredibile, penso a Fortnite il gioco del momento, di cui i genitori non sanno nulla".

Quindi è utile interessarsi a ciò che fanno i ragazzi online e dare a queste attività la dignità che hanno per loro, anche se noi stentiamo a capirle. "Non si può controllare", insiste Lancini, "bisogna allora interessarsi alla vita virtuale, non avere paura di affrontare questa questione, così come sono convinto che quando accadono fatti come quelli avvenuti ai due ragazzi di Milano non bisogna neanche avere paura di parlare della morte, un altro tema che spaventa molto gli adulti. Parlare di morte e anche di suicidio non è istigazione".

Per lo psicoterapeuta quelli davvero deboli e da proteggere siamo noi genitori. E le cose che i ragazzi non ci dicono, non le tacciono per paura di punizioni che tanto spesso non arriveranno, ma per il timore di preoccuparci e angosciarci. "Non hanno paura della nostra reazione punitiva ma di quella emotiva". In ogni caso non possiamo controllare il corpo degli adolescenti, sapere ciò che fanno in ogni momento, li possiamo educare, ma poi una volta là fuori sono loro a decidere. "E' inevitabile che ricerchino esperienze al di fuori del controllo degli adulti".

Chi prova a dare regole però c'è ancora. Alcune scuole per esempio hanno deciso di vietare del tutto ai ragazzi l'uso del cellulare. "Rimango colpito di quanto gli adulti lo usino quotidianamente e poi siano preoccupati dall'uso che ne fanno i loro figli", commenta Lancini. "Bisognerebbe smetterla di vietare il telefonino ai ragazzi e iniziare ad avere il coraggio di vietare ai genitori di riprendere i figli a tutte le recite dell'asilo, al saggio di chitarra, in ogni occasione. La società del narcisismo nasce qui, nonni e genitori riprendono i ragazzi in ogni minuto della loro giornata e poi si chiedono 'ma perché sei fissato con i selfie e ossessionato dall'immagine?'. La società dell'esibire l'abbiamo creata noi, fotografando quello che mangiamo, condividendo ogni secondo delle nostre vacanze. Non possiamo chiederne conto solo all'adolescente quando fa gesti pericolosi".

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Marta Buonadonna