Corea del Nord, giorno del sole
EPA/HOW HWEE YOUNG
News

Corea del Nord: perché provocarla è un azzardo

Il ruolo di Russia, Cina e Giappone; gli scenari possibili degli Usa su Pyongyang; il nodo del club nucleare

Il Poker voluto da Trump, andandosi a sedere al tavolo dello scacchiere asiatico con Cina, Sud e Nord Corea, Russia e Giappone, è un vero gioco d’azzardo. Vediamo perché.

L'ILLUSIONE DI TRUMP
Prima di tutto c'è l’illusione americana che avere un nemico comune, la Corea del Nord, significhi avere amici pronti ad offrire carta bianca. Ma i rapporti con la Russia sono ai minimi storici e la Cina rimane il principale rivale commerciale.


PER APPROFONDIRE:


Una rapida occhiata alla carta geografica spiega meglio di molte parole che un attacco contro il nucleare nord coreano vuol dire in concreto lanciare missili molto vicini a Vladivostok, al confine cinese e di fronte alle coste giapponesi.

Questa mossa, a parte gli esiti militari, può piacere ai compagni di poker? Questi ultimi peraltro, sanno forse meglio degli americani e dell’opinione pubblica occidentale che sulla Corea del Nord esistono stereotipi e pregiudizi assai poco corrispondenti alla realtà.

LA STABILITA' DI PYONGYANG
Innanzitutto, non bisogna confondere il folklore nordcoreano con la sostanza della politica, interna e estera, di Pyongyang. Non è affatto vero, ad esempio, che la Corea del Nord sia un paese “instabile”, è vero forse l’esatto contrario. Non a caso molte previsioni degli analisti occidentali nelle ultime decadi (in materia economica) si sono rivelate errate, dal momento che tutte sancivano, viste le sanzioni in essere, la crisi irreversibile dell’autarchia voluta dal regime.

Inoltre la Corea del Nord, che appunto ha nell’autosufficienza il suo massimo credo ideologico, abbandonati ormai dal 2009 quasi tutti i riferimenti al marxismo, non è uno stato dalla politica estera aggressiva: Russia e Cina hanno rappresentanze diplomatiche a Pyongyang e il Giappone stesso non teme un attacco militare perché sa che sarebbe irrazionale.

SADDAM, GHEDDAFI E KIM YONG-UN
Il regime persevera nella sua corsa verso l’energia atomica perché, consapevole di non esser una potenza regionale come l’Iran, mai avrà diritto a un tavolo internazionale per l’accesso al ristretto club nucleare.

- LEGGI ANCHE: Le dotazioni militari della Corea del Nord

Kim Jong-un sa anche bene che più di analisi geopolitiche speciose, le vite parallele di Plutarco gli possono insegnare molto. In altre parole, il destino di Saddam Hussein e quello di Muhammar Gheddafi sono prove lampanti di una debolezza nucleare che le grandi potenze, secondo interessi contingenti e alleanze temporanee, non perdonano ai piccoli e scomodi autocrati.

TRE SCENARI POSSIBILI
Proprio il parallelo con Gheddafi ci riporta al rischioso poker di Trump. Cosa si prefigge l’attacco americano? Tre gli scenari possibili

  • Il primo è colpire le infrastrutture del programma nucleare nordcoreano per rallentarlo o renderlo inattuabile, proprio come l’operazione chirurgica israeliana contro il reattore di Saddam nel 1981 a Tuwaitah.
  • Il secondo potrebbe essere innescare una transizione in Corea del Nord. Peccato che, ad oggi, di opposizione interna a Pyongyang non ci sia orwellianamente traccia. L’esempio siriano non è un buon precedente: la mancanza di un’opposizione credibile ad Assad è stato sinora il limite clamoroso degli USA nella partita di Damasco e nei colloqui di Ginevra e Astana.
  • Il terzo: addirittura un cambio di regime. Ma con quale road map? Riunificazione coreana? Qui dal poker si passerebbe al risiko sul tavolo di casa e il discorso diventa semiserio.


IL CLUB ATOMICO
Invece è serissima la questione sul diritto all’accesso al club nucleare, adesso che l’Iran è parte del gioco e che, pochi se ne sono accorti finora, dopo Brexit la Germania non permetterà a lungo alla Francia di essere la sola potenza nucleare europea. Lo farà coi passi corretti, con la diplomazia del dialogo e non del folklore in stile “caro leader”, ma lo farà.

A quel punto tutti noi, ma anche i membri dell’esclusivo club atomico, sapremo come si sarà conclusa la spedizione dell’Armada di Trump verso la Corea del Nord.

Un trucco dei critici cinematografici rivela che se nel film di un regista esordiente spunta dal nulla una pistola, quella pistola sparerà prima della fine. Una portaerei è cosa diversa, e qui non si tratta di fiction, ma che Trump sia un commander-in-chief esordiente è vero, eccome.

I più letti

avatar-icon

Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

Read More