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ANSA/ ETTORE FERRARI
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Consulta: gli equilibri politici del dopo voto

Mentre Forza Italia sconta le sue divisioni interne, con l'accordo sui tre giudici Pd e M5S finiscono per rafforzarsi a vicenda

È arrivato nella tarda serata di ieri il via libera ai tre giudici della Consulta che mancavano all'appello per completare la rosa dei 15. Un'ennesima fumata nera, dopo una trentina di votazioni già andate a vuoto, sarebbe stata impossibile da giustificare di fronte al Colle che da tempo premeva con forza perché il Parlamento arrivasse a chiudere il cerchio in tempo per il discorso di fine anno di Sergio Mattarella.

L'accordo tra Pd e M5s che ha risolto l'empasse, al quale hanno lavorato i capigruppo dem Ettore Rosato e Luigi Zanda e l'incaricato dei 5Stelle Danilo Toninelli, era nell'aria ormai già da diversi giorni. La quadratura si è ottenuta grazie al nome di Giulio Prosperetti, giurista cattolico vicino al Vaticano, espresso dai centristi (Ncd, Ucd, Sc, Pi) e accettato da M5s che sul piatto aveva messo Franco Modugno e dato l'ok ad Augusto Barbera, il candidato di Matteo Renzi. A patto che fosse fatto fuori Francesco Paolo Sisto, inaccettabile in quanto “avvocato di Berlusconi”.

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Forza Italia divisa

Ed è stato così che Forza Italia si è ritrovata completamente fuori dai giochi. Dopo lo schiaffo di gennaio preso sulla scelta del presidente della Repubblica, gli azzurri si sono ritrovati esclusi anche dalla partita sui giudici costituzionali. Silvio Berlusconi è furioso, al punto da invocare elezioni anticipate (ma non a quello da dare il via libera ai suoi per votare la mozione di sfiducia contro il ministro Boschi). Quanto accaduto è comunque il sintomo dell'estrema debolezza da cui è gravata Forza Italia. Capace di bruciare una sfilza di candidati prima di ritrovarsi di nuovo spaccata anche su Francesco Paolo Sisto. Il principale indiziato della debacle, almeno dalla parte del partito che fa capo a Paolo Romani, è il capogruppo alla Camera Renato Brunetta. Non c'è infatti solo Renzi a indicarlo come il responsabile del mancato accordo (per via dell'acceso battibecco tra i due ieri in Aula), ma anche lo stesso Sisto che, a poche ore dal voto, commentava: “Renato ha fornito un 'as-sisto' al Pd per farmi fuori”. C'è anche chi dice, però, che a Silvio Berlusconi non premesse poi così tanto avere piazzare uno dei suoi alla Consulta visto che tutto sommato non sarebbe comunque stato determinante. Magra consolazione, in realtà. Oltre a quelle di poter gridare, come ha fatto Brunetta, all'inciucio tra Pd e M5S, al nuovo “Nazareno in salsa grillina” e di erigersi a unica vera opposizione all'arroganza dello strapotere renziano.

Movimento 5 Stelle istituzionalizzato

Ma se per Forza Italia i grillini si sono ormai fatti addomesticare, questi oggi possono rivendicare di aver ottenuto l'esclusione di Sisto dalla terna di nomi e di esserci riusciti senza dover fare nemmeno un passo indietro sulla mozione anti Boschi e quindi anti Pd. Tanto che Luigi Di Maio ha smentito subito che il via libera alla terna di nomi avesse una contro partita in questo senso. Che era ciò su cui scommettevano i vertici di Forza Italia convinti che Matteo Renzi non avrebbe accettato di chiudere un accordo con chi vuole far sfiduciare il suo ministro più importante. Certo è che per i 5Stelle l'accordo siglato con il Partito democratico e i centristi, rappresenta un ulteriore tassello della trasformazione in atto da movimento anti-sistema che rifiuta di sedersi a qualsiasi tavolo di trattativa a forza politica sempre più istituzionalizzata. Un processo destinato ad avanzare non senza scossoni. Almeno fuori dai palazzi. Non c'è infatti solo la Lega a denunciare “uno scambio di voti in Parlamento” e l'addio alla “presunta verginità ai giochini di palazzo”. Anche parte della base si è lamentata facendosi sentire su blog e social.

L'opportunismo di Matteo Renzi

Per quanto riguarda il Partito democratico, non c'è stata solo la minoranza a premere perché l' accordo con i grillini si facesse. Anche i renziani di più stretta osservanza avevano capito che prolungare lo stallo alla ricerca di un accordo con Forza Italia che non arrivava, avrebbe complicato ulteriormente un quadro già gravato dalle mozioni di sfiducia presentate contro Maria Elena Boschi e contro il governo per il caso Banca Etruria. Tanto che il bersaniano Nico Stumpo alla fine ha dovuto riconoscere a Matteo Renzi di essere più abile di quanto lo siano sempre stati loro della minoranza: “da anni noi chiediamo di accordarci con Grillo poi lo fa lui e non noi”. Il fatto è che Renzi non è tipo da impiccarsi a questioni di principio. Le sue scelte sono sempre dettate da senso pratico e interesse. Il senso pratico gli ha suggerito che, date le divisioni dentro Forza Italia, che Silvio Berlusconi non riesce più a tenere insieme, un accordo con gli azzurri sarebbe stato praticamente impossibile. Meglio quindi puntare a stringerne uno con i grillini. Per quanto riguarda l'interesse, per lui oggi è quello di ottenere il parere favorevole delle Corte Costituzionale su fine del bicameralismo perfetto e legge elettorale. Sul referendum sulla riforma del Senato, per dire, Renzi ha deciso di puntare tutto (“se perdiamo – disse – andiamo a casa”) e l'Italicum è una riforma simbolo del suo governo. Ottenere il placet della Consulta su questi, e altri provvedimenti, è per lui fondamentale. E su tre giudici eletti, uno (Augusto Barbera), gli dà piene garanzie, l'altro, Modugno, il giurista indicato dai grillini, non dovrebbe essere troppo ostile.

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