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ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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Consip e la sindrome del ricorso

L'ente al centro di inchieste famose detiene il record dei contenziosi nelle gare bandite. Ecco cause e conseguenze

La sindrome da ricorso si scatena ogni qual volta un ufficiale giudiziario romano si presenta nella sede legale di Consip, la centrale unica degli appalti pubblici, per la notifica di un procedimento giudiziario. La cadenza? Un giorno sì e l’altro pure. Tar, Consiglio di Stato e Tribunali civili sono zeppi di procedimenti contro la Concessionaria dei servizi informativi pubblici. Il risultato è questo: i grandi appalti sono impaludati. Ogni lotto un ricorso. Tanto che la Sezione di controllo della Corte dei conti nell’ultima relazione depositata (maggio 2019) ha rilevato che «i grandi appalti Consip giungono a far registrare un tasso di impugnazione che sfiora il 30 per cento, a fronte del 2,7 per cento nazionale». Ossia: la media dei ricorsi per gli appalti banditi dagli altri enti non arriva al 3 per cento. Le contestazioni contro Consip superano il dato di dieci volte.

La statistica analizzata è ufficiale ma non è completa, perché riguarda solo i dati che possiede l’Ufficio studi, massimario e formazione del Consiglio di Stato. Mancano all’appello i ricorsi cautelari d’urgenza presentati in sede civile. Un esempio da record: la sola gara numero 1.460, relativa a servizi di pulizia del Servizio sanitario nazionale, dell’importo di un miliardo e mezzo di euro, è stata interessata da 13 ricorsi. E i tempi, quando c’è la giustizia di mezzo, si fanno lunghi. I ricorsi totali ancora pendenti sono 210. Dal 2012 a oggi, su un totale di 806 ricorsi notificati, ne sono stati definiti 596, di cui 370 di primo grado e 226 in quelli successivi. Nel solo primo semestre del 2019, sono arrivati 63 ricorsi freschi freschi. Tre riguardano la pulizia delle caserme, tre la pulizia dei musei, due il Polo museale della Lombardia e il Cenacolo vinciano, uno il Parco archeologico di Paestum. Quelli pendenti, invece, al primo trimestre 2019, sono 51.

Alcuni procedimenti sono tortuosi e complicati. Quello per la pulizia delle caserme militari, per esempio. In considerazione delle clausole contrattuali che consentivano di valutare l’intesa anticoncorrenziale accertata, il 16 giugno 2017 la Consip si determinò a escludere i due operatori che l’avevano vinta per violazione dei regolamenti.

E questo è un tema su cui Consip è molto rigida, anche perché tra gli obiettivi della Centrale appaltante c’è quello di riqualificare la spesa pubblica e renderla più efficiente e trasparente, fornendo alle amministrazioni strumenti per gestire i propri acquisti, stimolando proprio le imprese al confronto competitivo. Come in questo caso, però, non tutto è filato liscio. Il contenzioso pende ancora davanti ai giudici amministrativi, nonostante il Tar del Lazio abbia già dato ragione a Consip. Le società hanno impugnato la sentenza al Consiglio di Stato, richiedendo le sospensioni. E il Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza di primo grado. Effetto generato: Consip ha dovuto riammettere alla gara le due società escluse. Situazione risolta? Manco a dirlo. Tutto congelato fino alla decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea che dovrà pronunciarsi sulla questione dell’illecito anticoncorrenziale. Che, di fatto, è il tema principale dei giudizi in cui inciampa la Centrale unica degli appalti. Nell’attesa, e per prevenire ulteriori contenziosi, considerata la complessità della questione, Consip ha richiesto al Consiglio di Stato dei chiarimenti, delle linee guida per indirizzare in modo corretto le attività legate all’aggiudicazione della gara e per evitare altri contenziosi.

Le controversie più frequenti ma anche più spinose riguardano soprattutto i servizi di pulizia e il cosiddetto facility management, termine entrato nello slang dell’«appaltologia» italiana e che indica la gestione dei servizi integrati: a partire dalla sanificazione all’energia elettrica, fino ad arrivare alla manutenzione e alla vigilanza.

La corona da re dei contenziosi se la sono guadagnata sul campo due cartelli: al primo posto c’è il colosso delle cooperative rosse Manutencoop che nel 2017 ha avviato ben 21 contenziosi verso la Consip e nel 2018 (ultimo dato disponibile), insieme alla Rekeep, ne ha presentati 39; seconda sul podio è la Romeo gestioni (22 ricorsi in sei anni) e nel 2018 si è arrivati a quota 34.

La Romeo gestioni è famosa anche per l’indagine penale che ha coinvolto il vecchio management e il ministro Luca Lotti, accusato di favoreggiamento perché avrebbe rivelato all’allora amministratore delegato della società di appalti pubblici Luigi Marroni l’esistenza dell’inchiesta coordinata dal pm anglonapoletano Henry John Woodcock.

La questione contenziosi, comunque, è una brutta gatta da pelare. Si traduce in una crescita di costi per lo Stato, per colpa dei ritardi e per le proroghe tecniche. I servizi, infatti, non si fermano. Continuano in regime di proroga all’impresa che già deteneva l’appalto. Molti dei ricorsi, poi, si rivelano pretestuosi e a spesso infondati. Il totale dei giudizi favorevoli a Consip è pari a circa il 77 per cento. Bene che vada, però, le questioni si chiudono con semplici rallentamenti nelle procedure e con oneri economici per l’ente. Fino a qualche tempo fa l’ufficio legale si avvaleva di consulenze di primo piano e, ovviamente, le parcelle erano salate.

Tanto che è arrivato più di qualche rimbrotto dalla Corte dei conti. Soprattutto per gli affidamenti «in via diretta e continuativa». La cerchia era ristretta: e i fascicoli finivano sempre agli stessi quattro avvocati (tra i quali spicca il nome di Alberto Bianchi, famosissimo avvocato del renzismo, fondatore della Fondazione Open e difensore del rottamatore Matteo Renzi) pur avendo a disposizione una trentina di legali interni con idoneo titolo di abilitazione.

Il danno erariale, come riporta in un servizio su Il Tempo Valeria Di Corrado, stimato dai giudici contabili era coincidente con l’ammontare degli incarichi conferiti: 4,3 milioni di euro. Una cifra decisamente non irrisoria. Per correre ai ripari Consip si è rivolta all’Avvocatura dello Stato e, ad aprile, è stato siglato un protocollo che porta la firma dell’amministratore delegato Cristiano Cannarsa e dell’avvocato generale dello Stato Massimo Massella Ducci Teri. Gli scatoloni con i fascicoli sono già in fase di trasloco.

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Fabio Amendolara