Come disinnescare la crisi in Crimea
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Come disinnescare la crisi in Crimea

Il popolo di Crimea si è espresso . Adesso, per chiudere la partita, si attendono le decisioni della Russia e degli Stati Uniti. Sarà la responsabilità a prevalere? Tutto passa ancora una volta per l’intesa tra Mosca e Washington

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Alea iacta est. Il dado è tratto. La Crimea ha votato per l’annessione alla Federazione Russa. E, per giunta, lo ha fatto con un incontrovertibile 95,5 per cento. Quando e come la Duma, il parlamento russo, ratificherà il voto del referendum popolare, non è l’elemento dirimente né il più importante in tutta questa storia. Quel che più conta, invece, è ciò che questo risultato racconta. Ovvero che una linea è stata virtualmente superata e che adesso niente sarà più come prima. E che tale linea non corrisponde solo ai confini dell’Ucraina, è piuttosto il limite superato il quale la pace in Europa non è più una certezza granitica.

 

Potremmo trovarci a raccontare che presto toccherà al sudest del Paese, prima Donetsk e poi Kharkiv, già colpite da tumulti, e poi si sposterà a macchia d’olio lungo tutto il confine. Infine, potrebbe arrivare a Odessa, che toglierebbe a Kiev persino lo sbocco al mare. Se non con il voto, tutto ciò potrebbe accadere con gli eserciti, magari a seguito di una guerra innescata dall’Ucraina per difendere il proprio territorio dall’aggressione di Mosca. Ma, verosimilmente, tutto ciò non accadrà. Almeno, non per il momento.

 

Il presidente russo, Vladimir Putin, già da molti giorni va dicendo che rispetterà la volontà del popolo di Crimea (come potrebbe essere altrimenti?) e naturalmente il governo dovrà comunicare agli spettatori internazionali la propria posizione ufficiale, specificando sotto quale forma intende accogliere la Crimea. Annessione diretta? Conferimento dello status di repubblica indipendente? O mantenimento dello status quo? Quest’ultima ipotesi, che sarebbe molto gradita a Stati Uniti e Unione Europea, non sembra però percorribile. E, del resto, che senso avrebbe da parte di Mosca fermarsi adesso, dopo aver rischiato moltissimo per arrivare fin qui? Il presidente russo ha già deciso da tempo la propria strategia, e a breve farà sapere al mondo quel che intende fare in quest’area.

 

La strategia degli Stati Uniti

Intanto, USA e UE, non riconoscendo il referendum né la nuova cartina disegnata dal Cremlino, devono assumere una nuova strategia, visto che sventolare la bandiera del diritto internazionale non è bastato a fermare la scissione della Crimea. È parso anzi che questo episodio abbia reso ancora più vulnerabile l’Europa unita e che gli Stati Uniti siano stati messi spalle al muro. Così, di fronte al fatto compiuto, la partita adesso si gioca al G8. O forse dovremmo dire al G7, se la Russia sarà estromessa, come in parte annunciato in queste ore (una mossa controproducente).

 

In ogni caso, la strategia dell’Ovest non può che avere come parola d’ordine “stabilizzazione”, per evitare che il contagio arrivi anche alle altre regioni confinanti con la Russia. Inaccettabile sarebbe, infatti, una débacle totale per la comunità internazionale e troppo rischioso lasciare che Mosca si senta invincibile e sicura al punto tale da procedere oltre.

 

Una soluzione per USA e UE potrebbe essere quella di pretendere l’inserimento della Crimea nella lista delle federazioni di stati (che qualcuno riconosce e qualcun altro no) e farne così una repubblica indipendente, pur se legata alla madre patria. Meglio, insomma, se tutto finisce qui e le altre province vengono dissuase manu militari a imitare la penisola del Mar Nero. Certo, ad oggi non aiutano gli oltre 20mila soldati a Simferopoli, Kherson, Armyansk e Strilkove, né le navi in mobilitazione a Sebastopoli e a Kerch. Né i disordini nelle città russofone.

 

Gli USA e il rischio di un eccessivo coinvolgimento

Ma se la Russia deve guardarsi dalle sanzioni e dall’isolamento internazionale - colpire le rendite degli oligarchi sarebbe un autogol e un gesto di vendetta piuttosto inutile, a meno di non avere un piano preciso per disarcionare Putin dalla presidenza (ipotesi quest’ultima piuttosto remota) - gli Stati Uniti devono invece badare a non farsi coinvolgere ulteriormente in questa storia: i danni sarebbero infatti maggiori dei benefici. Sia per la bilancia economica e i pagamenti russi (che oggi avvengono in dollari), sia per il fatto che “siamo tutti legati” l’uno con l’altro negli scambi commerciali.

 

Già altre volte abbiamo ricordato come la nuova politica americana sia rivolta sempre più al Pacifico e come l’autosufficienza energetica le consenta oggi di tornare a una nuova versione di isolazionismo, come già è capitato in passato. Perché dunque non concentrarsi su se stessa e sullo sviluppo del mercato interno americano (c’è sempre il Sudamerica, del resto), anziché rispolverare una tenzone con la Russia? È inevitabile che la Russia occupi in Europa e Medio Oriente quegli spazi che gli Stati Uniti hanno volontariamente lasciato sguarniti e, almeno di questo, non si può fargliene una colpa. Semmai è la conseguenza del riposizionamento geopolitico USA ad aver concorso alle mire espansionistiche di Mosca.

 

Dunque, accettare l’autonomia della Crimea e lasciare che sia la Germania - e il resto dell’Europa, se vogliamo - a gestire tale difficile situazione potrebbe essere la soluzione per spegnere l’incendio europeo. Ma il timore è che gli Stati Uniti non siano ancora pronti a questo scenario: pur consapevoli di non svolgere più un ruolo da protagonisti in questa parte di mondo, non hanno ancora accettato l’idea di non esser più il deus ex machina delle sorti europee e, soprattutto, non sanno se la nuova politica pivot-to-Asia pagherà a sufficienza per dismettere del tutto l’impegno (e la presenza) in Europa e Medio Oriente, e riorientare le antenne nel loro naturale bacino d’interesse.

 

Se l’azzardo della Russia è senz’altro foriero di tensioni e rischioso per la stabilità globale, un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti potrebbe esserlo ancora di più.

 

 

 

 

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Luciano Tirinnanzi