Cina: gli intellettuali rinnovano la fedeltà al regime
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Cina: gli intellettuali rinnovano la fedeltà al regime

Gli scrittori più famosi accettano di ricopiare i discorsi di Mao. E la rete li condanna

A cosa serve alla Cina di oggi continuare a tenere acceso il ricordo di Mao Zedong? Possibile che per gli intellettuali della Repubblica popolare la collaborazione alle iniziative di propaganda sia diventata importante? Come mai uomini che da tempo si definiscono i soldati della libertà di pensiero, opinione ed espressione in Oriente hanno deciso di accettare l'invito del Partito a reinterpretare gli scritti del Grande Timoniere?

Anzitutto è curioso il modo in cui questa "collaborazione" è stata scoperta. I cento intellettuali coinvolti nella pubblicazione pensata per celebrare i settant'anni dei "Discorsi sulla Letteratura e sull'Arte" pronunciati da Mao Zedong in persona a Yan'an, nel 1942. Attraverso i quali vennero stabiliti i pricipi a cui avrebbero dovuto attenersi gli scrittori. Perché "la letteratura e l'arte devono essere al servizio del popolo e subordinate alla politica, e gli scrittori e gli artisti rivoluzionari devono identificarsi con i lavoratori".

Quasi un secolo dopo, ai letterati cinesi è stato chiesto di riscrivere a mano i passaggi di quella famosissima conversazione. "Niente di diverso da ciò che ci viene regolarmente ordinato di fare", ha commentato il romanziere Chi Li. Un punto di vista contro il quale si è improvvisamente scatenanta la rete. Trasformando quella che avrebbe dovuto essere una "normale" inziativa culturale (di propaganda) in uno scandalo.

Il blogger shanghainese Wu Hongsen ha soprannominato l'elenco degli autori che hanno partecipato all'iniziativa il "rotolo della vergogna". Ha confidato ai suoi contatti online di essersi sentito sollevato dopo aver scoperto che almeno alcune delle sue penne preferite non avevano aderito (o forse non erano state preselezionate dalle autorità. Scoprire la verità in questi casi è sempre particolarmente difficile...). Ma ha anche sottolineato con rabbia che non leggerà mai più "i libri di chi ha giurato fedeltà al regime".

Accuse simili a quelle lanciate da Wu Hongsen si sono rincorse sulla rete al punto da indurre gli imputati a difendersi. Ye Zhaoyan, ad esempio, ha scritto su Twitter cinese che "la sensazione di mangiare una mosca non è buona". Aggiungendo di aver considerato i discorsi di Yan'an una "tigre di carta" (espressione tanto cara a Mao quando si trattava di definire gli Stati Uniti) "che non avrebbe più potuto farci del male". Motivo per cui, dopo aver svolto il lavoro, non si sarebbe curato di restituire la somma di circa cento euro ricevuta come compenso.

Ma la maggior parte degli autori coinvolti nel progetto Yan'an ha preferito rimanere in silenzio. E possibile che grandi nomi come Feng Jicai, Mo Yan, Zhang Jie e Jiang Zilong si siano resi conto dell'impatto simbolico della loro adesione al pogetto Yan'an. Trascrivere i discorsi del 1942 implica in qualche modo ricordare (e legittimare) gli anni in cui le voci che non "servivano gli interessi dello stato, dei contadini, degli operai e dei soldati" venivano zittite, imprigionate, giustiziate. Ma pochi hanno riflettito sul fatto che oggi, chi ha aderito sia stato probabilmente costretto a farlo per evitare una piacevole e dolorosa uscita di scena...forzata.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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