Chiedono il cambiamento ma non cambiano
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Chiedono il cambiamento ma non cambiano

Contro la crisi il metodo Bersani non funziona. Così come non funzionò vent'anni fa.

La storia dei partiti politici italiani è contrassegnata da eventi che ne modificano il corso, da fatti esterni (a volte traumatici) che li obbligano a ripensarsi o addirittura a cambiare identità.

Pensate alla caduta del Muro di Berlino e agli effetti che ebbe nei partiti comunisti europei, o agli accadimenti di Tangentopoli con lo sconquasso che provocarono sull’intero arco costituzionale.

Ma oggi qual è il fatto esterno o l’evento storico che ha mandato in crisi una formazione politica assai antica eppure giovane come il Partito democratico?
E perché il neonato Movimento 5 stelle va in tilt appena sbarcato in Parlamento, al pari di Scelta civica di Mario Monti?

C’è un minimo comune denominatore ed è da ricercare in un virus che, da una parte, ha consentito alle tre formazioni una ricerca facile del consenso e dall’altra ne ha preservato la stabilità interna. Quel virus è lantiberlusconismo, un’arma impropria della politica che Pier Luigi Bersani, Mario Monti o Beppe Grillo hanno declinato con modalità più o meno aggressive fino a rasentare, nella dialettica multimediale, i toni dello squadrismo.

Le elezioni di febbraio hanno stabilito in maniera incontrovertibile che nessuno dei tre soggetti (Pd, 5 stelle e Scelta civica) ha ricevuto dagli italiani il premio anti Cav: Monti e i suoi seguaci si sono polverizzati, tanto che il Professore sta ora decidendo come abbandonare in fretta e furia il campo di battaglia; Pd e 5 stelle invece valgono quanto l’odiato Pdl di Berlusconi.

Ma è il Pd che resta la vittima più illustre dell’antiberlusconismo. La dirigenza del partito e Bersani in particolare non hanno tenacemente e testardamente accettato il principio elementare secondo il quale, in democrazia, sono i numeri
che determinano i fatti e non viceversa. Il segretario anzi ha proprio rifiutato il principio prima nel tentativo di formare un governo e poi nella corsa per il Quirinale.

Un ragionamento basato sull’evidenza e non sul maledetto virus avrebbe dovuto consigliare al Pd di accettare una realtà italiana che potremmo definire multiculturale, in cui tre forze politiche rappresentano il Paese senza che nessuna abbia la maggioranza per governare. E che cos’è la politica se non l’arte della mediazione, la necessità di capire e interpretare le esigenze della società tentando di trovare un punto di incontro fra le proprie idee e quelle degli altri elettori?

È ciò che manca, come cromosoma, a Grillo e ai 5 stelle, i quali non accettano il dialogo con gli altri per il semplice motivo che li considerano degli appestati. E il coraggio di riappropriarsi del primato della politica, duole dirlo, è mancato soprattutto a Bersani, che ha preferito arroccarsi e fare implodere il suo partito piuttosto che aprirsi al confronto.

No, non è con il metodo Bersani che questo Paese, come chiedono gli imprenditori disperati e i cittadini allo stremo, riuscirà a fare un passo avanti. Quel metodo fatto di supposta superiorità morale non funzionò vent’anni fa, figuriamoci oggi.

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Giorgio Mulè