La casta (dei giornalisti) contro Grillo
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La casta (dei giornalisti) contro Grillo

Perché con l'avvento del comico genovese sono venuti al pettine i nodi della (mala)informazione italiana

Esiste o no in Italia una casta dei giornalisti accanto alle caste dei politici, dei magistrati, dei diplomatici, dei sindacalisti, delle baronie professionali e universitarie? Esiste o no in Italia un modo di fare giornalismo che da troppo tempo si affida ai retroscena per raccontare la politica, che produce o inventa fiumi di parole ogni giorno dimenticando i fatti, i contenuti, i problemi? Che arriva a virgolettare i pensieri? Esiste o no un’ignoranza dei giornalisti che aggrava quella della società? Esiste o no il condizionamento dei partiti nel mondo televisivo, con tanto di spartizione dei ruoli chiave e gradimento ai cronisti al seguito: dimmi chi intervisti e ti dirò come la pensi?

Esiste o no un meccanismo di gogna e fango mediatici che è facilissimo esercitare in assenza di regole deontologiche condivise come quelle che, una volta violate, devasterebbero carriere negli Stati Uniti, la patria del giornalismo investigativo (ben diverso dal giornalismo delle veline)? La macchina funziona nel modo esemplarmente descritto da Grillo nel suo blog sotto il titolo “Attenti ai lupi!”. Nella notte nordica di “Zanna bianca”, la fame del branco viene placata grazie a una lupa che attira i cani da slitta fuori dal cerchio di fuoco per poterli sbranare. Il povero grillino dello staff, il militante, il fondatore di un piccolo blog d’area, il curioso di passaggio, l’elettore (s)piacevolmente sorpreso di trovarsi davanti a un faretto e una telecamera, fungono perfettamente alla bisogna.

Sì, i grillini “portavoce” e quelli che via via assumono ruoli guida non si fidano dei giornalisti, ci mettono tempo a uscire allo scoperto. Si può dar loro torto? Perché mai sarebbero tenuti a dire, tutti e subito, la qualunque? Prima di parlare vogliono capire bene cosa dire. Organizzarsi, decidere, studiare, lavorare. Fare. È serietà, non reticenza. Come li si può accusare di sottrarsi alla stampa, al controllo dei cittadini, se poi usano la diretta streaming e danno conferenze stampa, a volte interviste individuali, senza neanche aver messo piede a Montecitorio?

Ora i giornalisti che da anni si distinguono per piaggeria, o al contrario per pregiudizio persecutorio verso l’avversario politico, gridano alla “nuova casta”, al MoVimento che non sopporterebbe le “domande scomode”. È ipocrisia. O paura. Ho il sospetto che la verità sia tutta un’altra e che Grillo abbia ragione. Il giornalismo italiano non spicca né per imparzialità, né per rispetto della verità, né per la capacità di fare domande “scomode”. Non a caso ha perso credibilità e le nuove leve non riescono a farsi strada, a sopravvivere con i loro guadagni da fame che vanno a finanziare i baby-pensionati d’oro (altro che lupi!) e sono tragicamente ridicoli rispetto ai proventi di firme strapagate e/o ben ammanicate (un pezzo la settimana).

Allora perché Grillo sbaglierebbe a dare un segnale di rottura, di sfiducia e di diffidenza, parlando solo con i giornalisti stranieri? Anche così aiuta a smascherare i vizi della nostra casta (gli errori in buona o malafede nella traduzione delle interviste che rimbalzano dall’estero in Italia dicono che qualcosa non funziona). Ecco che un settimanale imbastisce una copertina sulle società “anonime” dell’autista-amico di Grillo in Costa Rica, paese definito “paradiso fiscale”, per edificare ville da nababbi. Poi però scopri che l’autista di Beppe viveva già in Costa Rica, paese che non compare nella lista dei paradisi fiscali, e quindi costituiva lì le sue società (tutte per definizione “anonime”, da quelle parti) e che il villaggio extra-lusso, un sogno di insediamento ecologico autosufficiente, non è mai stato realizzato per mancanza di fondi. E che la società della cognata di Grillo che portava della sorella (moglie di Beppe) solo il nome, era in realtà un negozio di prodotti biologici di 20 metri quadrati, chiuso perché non dava guadagni. Sai che scandalo!

Perché non parliamo piuttosto della proposta di Grillo di abolire l’Ordine dei giornalisti e il finanziamento pubblico alle testate giornalistiche? E magari anche di estendere l’accesso all’informazione e aprire ai giovani cronisti dando dignità al loro lavoro e più forza alle regole? O di una più equa redistribuzione di compensi e welfare che non penalizzi la passione e la giovane età? Invece di calare sui grillini come condor o lupi a caccia di prede, vogliamo anche noi provare a fare una sana autocritica e chiederci perché non Grillo, ma la maggioranza degli italiani, ci considera screditati e perché tanti nuovi e bravi (più di noi) colleghi non riescono a lavorare né a vivere del loro mestiere? Servirebbe anche a noi vecchi lupi un bel bagno di umiltà. A ciascuno la sua casta.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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