Ecco perché il "Capitano Ultimo" non è mai diventato generale
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Ecco perché il "Capitano Ultimo" non è mai diventato generale

Panorama, nel numero in edicola dal 16 gennaio, racconta cosa frena la carriera di Sergio De Caprio, il carabiniere che catturò Totò Riina

di Enrico Fedocci

Quando a 24 anni d’età lui arrestava latitanti mafiosi nelle masserie della Sicilia, decapitava il vertice di Cosa nostra, dimostrava con la «Duomo connection» l’infiltrazione mafiosa nell’amministrazione comunale milanese, i suoi colleghi erano pressoché sconosciuti in piccoli reparti, oppure al Comando generale dell’Arma, seduti dietro a una scrivania. Tuttavia, molti di quegli stessi colleghi, compagni di corso all’Accademia militare, ora sono stati promossi al grado di generale. Lui, che ha appena concluso l’inchiesta sul traffico di rifiuti a Roma, no. Anzi, per dirla tutta, lui non è stato neanche valutato. Ma al colonnello Sergio De Caprio, alias capitano Ultimo, di far karriera (quella con la k, come direbbe lui) poco importa. Eppure, volendo non considerare la proverbiale umiltà dell’eroe antimafia, condannato a morte dalla Cupola per l’arresto di Totò Riina, dovrebbe fare notizia che un’amministrazione dello Stato come l’Arma dei carabinieri non abbia a cuore di valorizzare il vero erede del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e certamente uno tra i migliori investigatori che la Benemerita abbia avuto negli ultimi 30 anni.


De Caprio, che ha dovuto subire perfino l’onta di essere processato su iniziativa della Procura di Palermo per la mancata perquisizione del covo di Riina uscendo immacolato dal procedimento, non fa parte di alcun «cerchio magico» o di cordate all’interno dell’Arma. Lui preferisce la strada e le indagini fatte sul territorio. Buono in Parlamento per essere candidato a presidente della Repubblica (alla scorsa elezione ha preso nove voti), ma non per passare di grado.

Ma perché tra i compagni di corso del colonnello De Caprio alcuni sono stati promossi, altri magari non ci sono riusciti, ma lui non è stato neanche preso in considerazione? Un cavillo. Un cavillo secondo cui, per essere ammessi all’avanzamento, è necessario avere ricoperto per due anni l’incarico di comandante provinciale. Incarico che De Caprio avrebbe potuto ricoprire se fosse stato mandato in prima linea, in qualsiasi provincia della Sicilia o della Calabria, a combattere Cosa nostra. Niente da fare. Dopo essere stato trasferito 14 anni fa al Noe, Nucleo operativo ecologico, capitano Ultimo ha manifestato più volte il desiderio di tornare al Ros, il reparto in cui per anni ha seminato il panico tra gli uomini d’onore. Rimandandolo al Ros, l’Arma avrebbe fatto tornare un fuoriclasse della lotta alla mafia al suo lavoro, consentendogli al tempo stesso, con un incarico equipollente a quello di comandante provinciale, di maturare quei titoli del tutto formali che gli avrebbero aperto le porte della commissione d’avanzamento. Ma pare che in viale Romania da quest’orecchio non ci sentano, e neanche dall’altro, perché da investigatore navigato qual è, pur avendo una competenza d’indagine limitata ai reati ambientali e un reparto dieci volte inferiore alla struttura anticrimine dell’Arma, anche al Noe Capitano Ultimo è riuscito a portare a termine inchieste di grande importanza, come dimostra il recentissimo caso della discarica di Malagrotta.

Allora, che cosa è successo? L’Arma ama poco i personaggi che brillano di luce propria. Successe con Dalla Chiesa, che i vertici di allora avrebbero volentieri ridimensionato, ma che sfuggì di mano. Accade oggi con capitano Ultimo e accadde anche con l’ex comandante dei Ris di Parma Luciano Garofano, costretto ad andare in pensione anzitempo dopo un trasferimento che ne sviliva la professionalità. «Usi obbedir tacendo e tacendo morir» è il motto dell’Arma. Capitano Ultimo è tipo da «obbedir» e da «morir», ma non tacendo.

Ansa
La squadra del capitano Ultimo che catturò il 15 gennaio 1993 il boss Riina

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