Perché Renzi perde a Firenze
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Perché Renzi perde a Firenze

Erano convinti di conquistare il comune, gli amici di Matteo. Macché. La cittadina toscana dove vive il premier ha scelto come candidato sindaco Marini, bersaniana, che per soli 13 voti ha battuto alle primarie il renziano Fabbrini

Lo striscione "Auguri presidente" penzola ancora giù dalla facciata nobile di Palazzo Sansoni Trombetta, sede del Comune di Pontassieve, e i pontassievesi sorridono come se da dietro lo striscione fosse partita l’ultima irrispettosa strombettata ai nuovi sansoni rimasti senza chiome. I nuovi sansoni sono gli amici di Matteo Renzi, convinti fino a ieri di trovarsi a un passo dal conquistare, con l’ingegner Samuele Fabbrini, il paesone dove il premier risiede. La Dalila che ha rapato il Fabbrini sul filo di lana è invece una minuta ragazza bersanian-cuperliana, assai timorosa di perdere nel paesone del nuovo striscione, e che invece le primarie di Pontassieve le ha vinte, per cui farà il sindaco.

Tutto è Pd, a Pontassieve. Sono Pd i figli dei democristiani, mal sopportati ospiti dai tempi dell’Ulivo, i quali, comprensibilmente, non vedevano l’ora di prendersi in un colpo solo comune e Pd. E lo sono i figli moderni dei comunisti, storici padroni di casa e intenzionati, altrettanto comprensibilmente, a non mollare l’appartamento di famiglia ricevuto in eredità.

4.099 votanti alle primarie, su 20 mila anime, sono roba che manco la Bulgaria dei tempi gloriosi: "Superiamo i 3 mila votanti ed è fatta" assicurava alla vigilia Giancarlo Bracaglia, braccio destro di Fabbrini, ex margheritino di lungo corso e di freschissima fregola. Superati i 4 mila, il più fatto di tutti adesso è lui. Per 13 schede di scarto. Maledette, maledettissime: 2.056 preferenze alla bersanian-cuperliana signora Monica Marini, architetta non praticante, militante politica professionale, consigliera Ds fin dal 1999, quindi assessore, nell’ordine, a: Ambiente, Pari opportunità, Edilizia privata, Politiche per la casa, Politiche sociali, Sanità, Strutture e Percorsi protetti, poi di nuovo Politiche sociali, di nuovo Pari opportunità e di nuovo Edilizia privata. La quale Marini, rimasta sveglia nonostante un quarto di secolo al comune, o forse proprio per questo, ha impostato una campagna all’insegna renziana del "Cambio di passo". E, come lei stessa sottolinea, "convive" felice con il suo Domenico.

Solo 2.043, invece, i voti per Fabbrini. Renzianissimo, vale a dire di lombi democristianissimi, fece lo scout con Matteo caposcout, l’educatore dell’Agesci, "Next cinema Italia", l’associazione Salviamo l’agricoltura, nonché il responsabile, a coronamento, di una relativamente comprensibile "comunicazione" in Pontassieve. Molto nuovo. In quest’ultima corsa della vita, visto che lo slogan del cambio di passo gli era stato fregato dai passisti di professione, ha ripiegato su una non proprio ficcante campagna per: "Pontassieve viva". Per di più, all’antica com’è, manco "convive" perché risulta, banalmente, "sposato con figli". Morale: dato vincente dagli allibratori, a primarie concluse il criptocompagno Fabbrini-Sansone è più cripto di prima. I sansoni-trombetta sono stati trombati. I figli di don Matteo Camillo hanno preso la musata. Quelli di Peppone festeggiano. E la espugnanda Pontassieve resta ai figlioli dei comunisti. Che sotto il 50 per cento, peraltro, non erano mai scesi. Dice che alle primarie nazionali, però, l’anno scorso il paesone di Renzi schiantò il Bersani con il 78 per cento: "E peggio mi sento" ne deduce il signor Danilo. Gestisce l’unico bar nella piazza di fronte al comune, il signor Danilo. Dunque. Dice il signor Danilo che mai il comune dei Pepponi fu peggio messo di ora. Per dire che, se non ha vinto ora, Renzi a Pontassieve non vince mai più. Veniamo perciò alla parabola dell’albero. Sarà un paio di mesi, nella ridente Pontassieve capitò un temporale. Fece vento. E un ramo, uno solo, degli alberi di piazza Gramsci si spezzò. Non enorme, abbastanza grandetto, ma stette lì a penzolare pericolosamente. "Tagliatelo" diceva il signor Danilo dato che la gente insisteva: si lega una sega a una pertica e in un momento vien giù. No, il comune non aveva competenza. Burocrazia? Parrebbe. Si transennò un gran cerchio intorno. Vigili, sorveglianza. Una settimana passò, ne passarono due. Arrivarono, dopo le due, due camion dei pompieri, "non uno" ride il signor Danilo "due, attrezzatissimi, scale automatiche, seghe, corde, non si poteva chiedere di meglio". Un camion stette lì a guardare, l’altro operò. Segò il ramo con taglio provetto. E, a quel punto, quello se ne scese. E i vigili se lo portarono? "Non tocca a noi" risposero i pompieri "a noi toccava solo il taglio". Altro transennamento. Più grande. Altre due settimane. Burocrazia? Sembrerebbe. Bisogno davvero di cambiare passo? Anche quello sembrava. Una mano pietosa, nottetempo, portò via il ramo. La comunità ne rise, ma fino a un certo punto. Poi ha votato secondo tradizione: "Perché una cosa è il campanilismo contro Bersani, altra la tradizione a Pontassieve". E a Pontassieve la tradizione è una.

Il sindaco tuttora in carica di quel ramo, Marco Mairaghi, molto bersaniano e molto legato alla signora Marini, scrisse in un tweet che "solo a pensare Renzi segretario mi viene l’orticaria". Non ha fatto campagna elettorale. Ma attorno a lui, insieme al ramo, era venuta giù la metà di Pontassieve. La Melini, cantine di Chianti, aveva chiuso. Quasi chiuse le un tempo grandiose Officine di riparazioni ferroviarie. Sprangata, a febbraio, l’ex Italcementi, con le campagne coperte di polvere bianca e gli ultimi 48 lavoratori in cassa integrazione. Qualche pelletteria rimane, una è la Bisonte. "Da ragazzino" raccontava Bracaglia prima della sconfitta "all’ora della mensa tre sirene mandavano a pranzo quasi 2 mila persone, ora silenzio". Non ha a che vedere con le responsabilità dirette dell’amministrazione comunale, e però il clima è quello. Anche se il Signore del cambiamento è di qui, è di casa. Ma a Roma, non a Pontassieve. Qui c’è l’Hotel Moderno, nella zona bassa e nuova, dove le case costruite in serie fanno da dormitorio per i fortunati col lavoro a Firenze. È enorme, vuoto. Dice il portiere che con la primavera arriveranno le gite scolastiche convenzionate e le truppe dei giapponesi. Il proprietario, solo un paio d’anni fa, ha modernizzato l’impresa con una vagonata di televisorini cubici anni Sessanta, che gli hanno letteralmente tirato dietro.

Questo è lo spirito, il clima della Pontassieve caput mundi: la Coop, enorme, come un Cremlino di cristallo a monumento di se stessa; il comune con 150 dipendenti e i servizi, quasi al completo, affidati a cooperative esterne come l’Orologio. Da sei, settecento al mese. Ma l’anima del vecchio partito, quella tiene. E passa tranquillamente sopra la spesa degli 11 nuovi orrendi monumenti ipermoderni sparpagliati senza senso qua e là. Una ragazza gentile, che presidia la sede del comitato elettorale bersanian-cuperliano racconta di essere ritornata dopo tanto tempo perché ha scoperto, nella guerra contro Matteo "valori che credeva dimenticati".

"Auguri presidente" recita sempre lo striscione appeso a Palazzo Santoni Trombetta. Le primarie si sono concluse e la giovane compagna Marini non sta nella pelle. Il partito, recitano tutte e due le parti, corre unito e sereno verso l’elezione scontata del prossimo 25 maggio. E il presidente Renzi, tanto comprensibilmente diplomatico quanto abbastanza lontano dall’immagine di giovanile franchezza con cui volle mostrarsi, ha preferito non andare a votare. Per quanto riguarda gli ex scout di Pontassieve, se la vedranno al prossimo giro.

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