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Calcio

Covid, anche il calcio in crisi chiede soldi al Governo

Sistema al limite del collasso causa Coronavirus e i club bussano alla porta di Conte. Persi 600 milioni di euro in nove mesi, servono sostegni anche per il pallone - SERIE A, ENTRANO I FONDI

Seicento milioni di euro in nove mesi e il peggio non è ancora alle spalle. Anzi. Il sistema calcio è ad "alto rischio collasso" e l'adesione alle misure di contenimento alla pandemia, passate e future, stanno causando una "vera e propria crisi di sistema" dalla quale il movimento rischia di non rialzarsi se non aiutato dallo Stato. Esattamente come gli altri comparti industriali che si sono messi in fila e lo stanno facendo di nuovo per bussare alla porta del Governo e chiedere i famosi "ristori" che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha garantito come rapidi e sostanziosi.

Non deve sorprendere che il calcio si muova come la cultura, il turismo e la ristorazione. Può sembrare politicamente poco corretto, ma il pallone è prima di tutto un'industria duramente colpita dalla pandemia e che, a fronte di una prospettiva ancora oscura, sta facendo i conti con una crisi di liquidità impossibile da sostenere se non facendo ricorso a interventi mirati. Il conto che i club di Serie A - ma non solo visto che anche la Federcalcio ha preso carta e penna per scrivere al Governo - è drammatico.

La perdita stimata causa Covid19 nel 2020 ammonta ad oltre 600 milioni di euro di cui la maggior parte (circa 360) per gli stadi chiusi. La recrudescenza del virus allontana di mesi la sola prospettiva di riapertura e, anzi, ha costretto al passo indietro anche sui quei piccoli spiragli che avevano accompagnato l'autunno. Non è solo un problema di ricavi in generale; mancando il botteghino, manca anche quel flusso di denaro che garantisce il pagamento degli stipendi con regolarità e l'assolvimento di tutte le incombenze fiscali e previdenziali. I diritti tv (che pure scontano i problemi dei broadcaster) e le mancate partnership, stimate in 260 milioni di euro, completano un quadro che fa chiedere al calcio italiano almeno la sospensione dei versamenti dovuti fino alla fine dell'emergenza.

E' un tema delicato e che rischia di essere altamente impopolare. Si può immaginare uno Stato che finanzia le star del pallone in un momento in cui ci sono settori che rischiano il collasso? La risposta del mondo del calcio è un sì convinto. Si può e si deve per mettere in sicurezza un comparto che sviluppa oltre 4,7 miliardi di euro (3 solo dalla Serie A) e che garantisce contributi fiscali e previdenziali per oltre un miliardo (710 milioni dal massimo campionato) e che, dall'inizio della pandemia, ha visto crollare anche il valore del proprio asset più importante che restano i calciatori con le loro valutazioni di mercato oggi scese a livello complessive di un miliardo e mezzo.

La Federcalcio studierà a breve misure che evitino ricadute in termini di penalizzazione in caso di difficoltà a rispettare le scadenze nel pagamento degli stipendi e favorirà eventuali accordi tra club e tesserati. Materia scivolosa, come già le polemiche della scorsa primavera hanno dimostrato. Ma il calcio professionistico italiano, e non solo, ha bisogno di interventi rapidi per mettersi in sicurezza non potendo fare affidamento solo sul denaro buttato dai proprietari. Il conto è salatissimo: mettendo insieme i bilanci di Juventus, Inter, Milan e Roma si arriva a un passivo intorno ai 600 milioni di euro ed è solo la fotografia allo scorso 30 giugno quando ci si illudeva che il peggio fosse passato. Non è così e dalla crisi rischia di non salvarsi nessuno, trascinando nel baratro anche le leghe minori, lo sport di dilettantistico e di base e un esercito di oltre 300.000 addetti ai lavori diretti o dell'indotto.

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Giovanni Capuano