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Calcio

Calcio Italia, così in dieci anni il pallone si è rovinato

Dal 2009 al 2019 (senza Covid) bruciati 3,5 miliardi di euro. Investimento irrisori sulle infrastrutture, costi in crescita, spettatori in fuga: la fotografia prima della pandemia

Il Covid non c'entra, semmai può essere solo il colpo finale per un sistema che stava faticosamente cercando di uscire dagli errori del passato e che rischia di essere ricacciato indietro nella più grave delle crisi della sua storia. Non c'entra la pandemia perché i numeri che emergono dalla lettura del rapporto voluto dalla Figc per i dieci anni del Report Calcio sono da allarme rosso e situazione agonizzante; il terreno su cui si è innestata la crisi di questo 2020 che fa dire ai vertici del pallone italiano che il sistema rischia il collasso nel caso di mancati aiuti da parte dello Stato o di nuovo stop alla sua attività professionistica.

Ebbene, quel sistema ha bruciato dal 2009 al 2019 quasi 3,5 miliardi di euro al ritmo di un passivo di 949.863,01 euro ogni giorno, festivi compresi, degli ultimi dieci anni. E ha chiesto ai suoi padroni del vapore, in gran parte stranieri, di mettere soldi di tasca propria per oltre 2,8 miliardi, ricapitalizzazioni senza le quali molti club sarebbero semplicemente saltati per aria. Falliti. Giù la saracinesca e fine delle trasmissioni. Un quadro nerissimo, solo parzialmente addolcito dalla curva in crescita degli ultimi due anni che lasciava sperare in una ripresa e nel ritorno alla piena competitività con il resto d'Europa. La gelata del Covid rischia di cancellare quei deboli segnali di speranza e lasciare, invece, intatti tutti i motivi d'allarme.

PASSIVI E DEBITI: UN DECENNIO DA INCUBO

Mai nel decennio dal 2009 al 2019 il sistema calcio (che per oltre il 90% dipende poi dai risultati economici della Serie A) è stato capace di chiudere una stagione in equilibrio. Il passivo accumulato è stato di 3,467 miliardi di euro con il record nel 2015 (-536 milioni) e una leggera ripresa nel 2017 (-156). La colpa? Il giro d'affari è cresciuto costantemente e ha fatto anche meglio rispetto al contesto generale del Pil italiano (+5% circa), ma allo stesso tempo sono cresciuti ancora di più i costi.

Per dare un parametro, nel 2018 gli stipendi sono stati più alti del 40% rispetto a dieci anni prima e il peso di ammortamenti e svalutazioni - spesso causati dall'uso della leva delle plusvalenze che hanno salvato tanti bilanci, scaricando però il problema sul futuro - addirittura dell'83%. E alla voce indebitamento, il muro dei 4 miliardi di euro è stato sfondato nel 2016 con una crescita del 66% rispetto al 2009. La pandemia non farà altro che aggravare la situazione, costringendo molte società a ricorrere a forme di finanziamento esterno per restare in piedi ed evitare il default per mancanza di cassa.

CHI PAGA? GLI STRANIERI

La curiosità è che dei 2,8 miliardi di euro messi a fondo perduto dalle proprietà del calcio sotto forma di ricapitalizzazioni, un terzo (928 milioni) è arrivato dalla Cina e nel complesso solo il 19% dall'Italia. Significa che nell'ultimo decennio il nostro pallone è stato comunque capace di attrarre soldi da fuori in misura sempre crescente e su questi si è basato per stare alla larga da guai peggiori. Dopo la Cina, i maggiori investitori sono stati gli Stati Uniti (oltre mezzo miliardo), Indonesia, Canada, Australia, Francia e Inghilterra.

L'altra faccia della medaglia è che chi si è avvicinato alla Serie A non è riuscito, però, ad avere adeguate possibilità di investimenti strutturali. E' il tema, ormai annoso, del ritardo italiano nell'adeguamento degli impianti. Qualcosa si è fatto, molto resta da fare tra pastoie burocratiche e ritardi infiniti.

1978-2019, FUGA DAGLI STADI

Il risultato più evidente di questa arretratezza è la fuga dagli stadi della Serie A. In quarant'anni la presenza media è calata di un quarto, dai 32.858 spettatori per partita del 1979 ai 24.106 del 2019. Il lockdown degli impianti ha gelato le ripartenza delle ultime tre stagioni, in cui si erano visti segnali di ripresa con 1,1 milioni di tifosi in più sugli spalti. Il quadro, però, è sconfortante e con riflessi immediati sui bilanci se è vero che la Serie A gioca in stadi che hanno in media 63 anni d'età, fatiscenti, senza servizi adeguati anche per valorizzarne la parte commerciale e con una percentuale di riempimento che non si schioda dal 63% contro il 95% della Premier League, l'89% della Bundesliga e il 74% della Liga. Anche la Francia fa meglio di noi con il 70% pur rimanendoci dietro nella classifica della potenza economica dei campionati.

Analizzando solo l'ultimo quinquennio, la fuga dagli stadi italiani ha causato un danno da 1,3 miliardi di euro: incassi mancati perché oltre 82 milioni di biglietti sono rimasti invenduti. Problema di non semplice o rapida soluzione: per avere nuove strutture serviranno anni, sempre che chi sta cercando di investire portando progetti possa avere luce verde dalla burocrazia politica e amministrativa dei rispettivi comuni. Altrimenti resteremo così, con poco più della metà dei posti a sedere coperti e solo 7 stadi su 100 di proprietà privata. Il Medioevo del calcio e dello sport business. Una delle ragioni, insieme all'incapacità manageriale di troppi dirigenti, per cui il calcio italiano si è rovinato nell'ultimo decennio.

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Giovanni Capuano