massimo ferrero
(Ansa)
Calcio

Servono nuove regole per salvarsi dal calcio dei «Ferrero»

L'arresto del presidente della Sampdoria (che si è da poco dimesso dalla carica) per un'inchiesta non legata alla squadra di calcio deve però far riflettere tutto l'ambiente e chi lo gestisce. Per la salvezza dello stesso mondo del pallone

C’è una cosa capace da sola di spiegare lo stato d’animo di molti nel mondo del calcio oggi, giorno dell’arresto del Presidente della Sampdoria: in pochi sono rimasti sorpresi e stupiti.

Sia chiaro, non significhi che Ferrero sia colpevole (sarà come ovvio la giustizia a stabilire se davvero le accuse contro di lui di bancarotta fraudolenta e reati finanziari siano reali) ma che le voci sulla reale forza economica del vulcanico «Viperetta» giravano da troppo tempo e troppo forti.

Nell’inchiesta è esclusa la Sampdoria (anche se Ferrero si è appena dimesso dal suo incarico), e questo è di sicuro un bene per il mondo del calcio e per i tifosi blucerchiati (già alle prese con una stagione sportiva non proprio facile), ma una riflessione nella sede della Lega e non solo forse andrebbe fatta, a prescindere dell’inchiesta. Perché l’inchiesta che ha investito il presidente della Samp non è la prima e purtroppo non è l’ultima nei confronti di un presidente del nostro calcio. E le voci che lo riguardavano ed accompagnavano da tempo non sono i soli dubbi su questa o quella società.

Il caso della Sampdoria è emblematico: provate a paragonare Massimo Ferrero a Paolo Mantovani, lo storico presidente dello scudetto di Vialli-Mancini-Boskov. Chiedete ai tifosi della Samp chi preferiscono tra i due…

Ma il problema è più ampio e bisognerebbe essere onesti una volta per tutte. Il nostro calcio è malato, malato grave. Siamo davanti a cambi di proprietà talmente rapidi da farci perdere il conto; siamo un campionato sempre più nelle mani di proprietà straniere, alcune serie, altre meno (la vicenda della vendita del Milan da Berlusconi a tale Yonghong Li è ancora tutta da chiarire, e non stiamo parlando di una provinciale…). Siamo davanti ad un calcio che vede storiche formazioni sparite nel nulla (il Chievo, tanto per citare l’ultima), siamo pieni di debiti per miliardi di euro, non milioni; siamo indebitati fino al collo; siamo a 11 anni dall’ultimo trionfo in Champions di una squadra italiana; siamo circondati da stadi vecchi, certo, pieni di progetti avvenieristici che restano solo dei bei rendering da vendere ai tifosi per farli sognare, salvo poi riproporgli lo stesso impianto con bagni al limite della decenza e strutture ormai buone solo per i ricordi.

Certo, la situazione non è facile nemmeno per i vertici del nostro calcio: non si può sperare che tornino i Berlusconi, i Moratti, Mantovani, Viola, Cecchi Gori, grandi famiglie di grandi squadre. Oggi da quel punto di vista ci sono solo gli Agnelli, e come vedete, la cosa da sola non è certezza di risultati e successi. Servono però criteri diversi, economici e di serietà. Servono sicurezze finanziarie e solidità per entrare nel tavolo della Serie A. E poi, un po’ di stile. Certo, ognuno è fatto alla sua maniera, ma certi atteggiamenti pubblici di un presidente troppo amante dello show non dovrebbero essere accettati.

Se poi non ci sono queste garanzie non lo ha detto il medico che il nostro campionato debba essere a 20 squadre. Se ce ne sono solo 16 valide allora si faccia con queste. per salvare anche il calcio inteso come show e come «prodotto».

Rinviare tutto questo sarebbe una colpa altrettanto grave.

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