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(immagine Tv Sky Sport)
Calcio

Dybala e la mancanza di rispetto per chi paga

La trattativa difficile per il rinnovo con la Juventus, la ribellione in campo e l'abitudine (del calcio) a considerare i diritti delle aziende come un orpello inutile e fuori dal tempo

Che la questione del rinnovo di contratto di Paulo Dybala con la Juventusfosse più complessa di quanto raccontato, si era intuito già da un paio di mesi. Nonostante rassicurazioni sempre meno convincenti, che un accordo chiuso a ottobre non fosse stato ratificato in un arco di tempo ragionevole - quindi prima di Natale - era il chiaro segnale di una trattativa meno lineare del previsto. Non sorprende, dunque, che entrati nel semestre bianco contrattuale dell'argentino, quello spazio in cui Dybala è libero di ascoltare tutte le offerte e decidere il proprio futuro senza più interpellare la Juventus, la tensione si sia rapidamente alzata oltre i livelli di guardia.

Quello che sorprende è come l'escalation sia avvenuta su piazza pubblica, contravvenendo alla regola non scritta che i panni sporchi si lavano in famiglia. Tra Dybala e la Juventus raramente è stato così, basta ricordare le bacchettate indirizzategli da Agnelli e Nedved in risposta a puntute dichiarazioni di un calciatore che nell'ultimo anno e mezzo ha fatto parlare di sé più fuori che dentro il campo. Ora, però, c'è un elemento in più in quel gesto di sfida riservato alla tribuna dirigenziale (Agnelli assente per Covid) seguita da uno sfogo post gara che nella grammatica dei rapporti tra giocatori e club assomigliano a una dichiarazione di guerra. In risposta ad altre bordate, firmate da Maurizio Arrivabene che è l'uomo scelto dalla proprietà per aiutare il club a tornare a camminare dentro un sentiero di sostenibilità.

Si dice spesso che le società valgono molto più dei singoli calciatori, fossero anche top player. A maggior ragione vale in questa fase di crisi in cui ci sono proprietà chiamate a ripianare i buchi a suon di centinaia di milioni di euro, con bilanci in disequilibrio anche perché il Covid ha toccato le tasche di tutti tranne quelle delle stelle del pallone. Che ai loro diritti non hanno rinunciato in nome di contratti firmati prima che lo tsunami travolgesse tutto e tutti.

Il punto è semplice. La Juventus si è accorta che i 10 milioni di euro promessi a Dybala ad ottobre sono una cifra esagerata. All'argentino può dar fastidio, ma è un diritto incontestabile di un'azienda farsi i conti in tasca e stabilire una strategia. Solo nel calcio è accettabile che un dipendente si possa rivolgere al suo amministratore delegato con l'atto di sfida che Dybala ha portato pubblicamente. La Joya può andare altrove, è sua facoltà, oppure scegliere di restare a Torino anche trattando con durezza da qui a giugno la materia del suo contratto. Non può creare un danno al club che lo paga, profumatamente, in questo momento.

Dybala vale quella cifra? Ognuno può legittimamente avere la sua opinione. Nell'ultimo anno e mezzo ha saltato un terzo delle partite (30 su 81) mettendo in fila 190 giorni da infortunato e solo 15 gol perdendo anche diversi treni con la nazionale argentina dove dal novembre 2019 ha collezionato la miseria di 55 minuti in campo. Numeri, non opinioni. Nel calcio post Covid, soprattutto quello italiano, Paulo Dybala non è un calciatore da 10 milioni di euro netti a stagione fino all'età della pre-pensione agonistica. Se qualcuno glieli darà, avrà fatto un ottimo lavoro il suo agente. Se la Juventus ci ha ripensato è legittimo, l'unica cosa difficile da concepire è che un giocatore possa portare il suo malcontento in pubblica piazza pensandosi più importante del club che lo stipendia.

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Giovanni Capuano