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Ansa
Calcio

L'attacco senza senso alla Nazionale Italiana di Calcio

I club vorrebbero tenere i giocatori nelle bolle delle loro strutture senza prestarli a Mancini. Ma c'è un limite a tutto

Contro un avversario debole, a stadio vuoto, con in campo le terze linee e un ct in smart working. Italia-Estonia non sarà stata una serata indimenticabile nella storia della nazionale italiana, ma ha comunque tenuto davanti al televisore 4,2 milioni di italiani, rapiti dalle gesta di Vincenzo Grifo o, forse, impossibilitati a trovare di meglio scanalando tra un programma e l'altro. L'amichevole più contestata e meno amata da tutti, alla fine ha fatto il suo lavoro: dato all'Italia la quasi certezza di essere testa di serie nel prossimo sorteggio mondiale (evitandoci patemi modello Russia 2018) e consentito alla Federcalcio di vendere il suo prodotto.

Nel dibattito sull'inutilità delle soste delle nazionali - evidente a tutti che di Italia-Estonia si poteva serenamente fare a meno - e sulla pericolosità nel mezzo di una pandemia mondiale, c'è un velo di ipocrisia nel ragionamento di chi vorrebbe cancellare tutto in attesa di tempi migliori facendo finta di non capire che è anche attraverso serate al limite del masochistico come quella di Firenze che il sistema sta in piedi. Perché tra quelli che contano i danni da Covid-19 non ci sono solo i club con i loro mancati ricavi da miliardi di euro, destinati a restare senza ristoro alcuno da parte del Governo. C'è anche la Figc che non distribuisce poi stipendi multimilionari ai soliti privilegiati del pallone ma, con quei soldi, sostiene la promozione e lo sviluppo del calcio di base, paga gli arbitri, manda avanti tutta l'attività che è molto più ampia delle partite dei soli professionisti.

Per dare un parametro di giudizio, nell'anno 2019 (ultimo con bilancio pubblico), la Figc ha generato un volume d'affari da 174 milioni di euro di cui meno di un quarto (42 milioni) derivante da contributi pubblici. La stragrande maggioranza è stata generata dai diritti tv della nazionale (circa 32 milioni), dalla partecipazione a competizioni internazionali e da pubblicità e sponsor: in tutto oltre 80 milioni di euro quasi interamente girati sul territorio per far fare calcio a milioni di ragazzi, oltre che spesi per gestire e organizzare l'attività delle nazionali stesse.

In nome del Covid si può cancellare tutto, anche l'attività delle nazionali. In primavera è stato fatto e i più critici si sarebbero ripetuti in autunno tirando un tratto rosso sulle amichevoli e anche sulla Nations League, neonata o quasi competizione Uefa che genera però i ricavi tv che tengono in piedi le federazioni. Però, che la richiesta di smantellare venga da chi ha lottato per tornare in campo pur di salvaguardare i propri interessi, legittimi, consapevole che lo stop significa la fine del sistema, fa sorgere qualche domanda. Senza i soldi delle tv e degli sponsor per la nazionale, chi paga tutto?

Legato anche ad amichevoli inutili come Italia-Estonia c'è un giro d'affari che sarebbe destinato ad estinguersi. Per esempio, i partner commerciali girano alla Figc circa 40 milioni di euro e lo fanno non per beneficenza, ma perché associare il proprio marchio a quello della nazionale significa avere visibilità (370 ore nel 2019) e ritorni economici (342 milioni di euro). E succede sempre, sia negli anni con Europeo o Mondiale, che negli anni dispari. Quelli delle amichevoli, delle qualificazioni e dell'odiatissima Nations League. Che si può pure cancellare d'imperio, ma poi qualcuno dovrà occuparsi di pagare i danni visto che dallo Stato, impegnato su mille altri fronti, di denaro non ne arriverà.

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Giovanni Capuano