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Brexit: la cronistoria

Le date chiave nella saga dell'uscita del Regno Unito dall'Ue.

A oltre tre anni dal referendum che ha decretato il divorzio da Bruxelles, a Londra l'incertezza regna sovrana. Intanto, il conto alla rovescia procede inesorabilmente. La scadenza della Brexit è fissata per il 31 ottobre 2019. Ovvero, il giorno di Halloween. E la domanda è: dolcetto o scherzetto? Per capire dove sta andando il Regno Unito, Panorama ha ripercorso i principali passaggi dello psicodramma del ventunesimo secolo: la Brexit.
 

23 gennaio 2013: Cameron apre al referendum

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Il primo ministro David Cameron, europeista, dichiara di essere a favore di un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea.  


7 maggio 2015: vittoria di Cameron

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Alle elezioni, David Cameron ottiene la maggioranza. Il suo programma prevede l'impegno a tenere un referendum sulla Brexit.

23 giugno 2016: vince il Leave

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Al referendum sulla Brexit (convocato da Cameron per sopravvivere agli attacchi interni dei Tories euroscettici) vince il Leave di misura con il 51,9 per cento, contro il 48,1 per cento del Remain. Cameron rassegna le dimissioni.


13 luglio 2016: Theresa May premier

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Due giorni dopo essere diventata leader del partito conservatore, Theresa May si insedia a Downing street.

29 marzo 2017: iniziano le danze

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Con una lettera al Consiglio europeo, Theresa May attiva l'articolo 50 che innesca il processo di uscita del Regno Unito dalla Ue.

8 giugno 2017: May convoca elezioni e si ritrova senza maggioranza

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Dopo avere convocato elezioni anticipate per accrescere il vantaggio del suo partito in Parlamento, Theresa May perde la maggioranza. Riesce a restare al potere attraverso un accordo con il partito nord-irlandese Dup.


8 dicembre 2017: la grana del backstop

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Dopo lunghi negoziati a Bruxelles, il Regno Unito e la Ue si accordano su un cosiddetto «atto di divorzio», che prevede il controverso «backstop» nord-irlandese, un accordo per garantire che non venga eretto un confine fisico fra Irlanda e Irlanda del Nord.


25 novembre 2018: la bozza d'accordo con l'Ue scalda gli animi

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Viene pubblicata la bozza dell'accordo fra Ue e Regno Unito lunga 599 pagine, che parla di un backstop rafforzato. Forte irritazione del partito nord-irlandese Dup e dei Tories pro-Brexit.  


15 gennaio 2019: la débacle di Theresa

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Il Parlamento britannico boccia l'accordo sulla Brexit. Battuta con 432 voti contro 202, Theresa May subisce la peggiore sconfitta della storia parlamentare britannica moderna.


29 marzo 2019: il giorno della Brexit

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Il Regno Unito non è più membro dell’Unione europea: entra in un periodo di transizione.


7 giugno 2019: Theresa May esce di scena

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Dopo tre tentativi falliti di far passare in Parlamento il suo accordo sulla Brexit, Theresa May rassegna le dimissioni.


24 luglio: inizia l'era di Boris Johnson

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Dopo aver vinto la leadership del Partito conservatore con il 66 per cento dei voti, Boris Johnson entra a Downing street. E annuncia l'uscita dall'Ue il 31 ottobre «senza se e senza ma».


28 agosto 2019: chiusura del Parlamento

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Il neopremier Boris Johnson chiede alla Regina di chiudere il Parlamento per cinque settimane. Johnson sostiene che è una richiesta di routine. Gran parte dei commentatori credono però che sia una mossa per dare meno tempo ai parlamentari di bloccare il no-deal (l'uscita senza accordo) prima della scadenza del 31 ottobre.


4 settembre 2019: Boris Johnson nell'angolo

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Grazie al voto dell'opposizione e dei ribelli Tory, la Camera dei Comuni vota a favore della legge contraria al no deal, imponendo un rinvio della Brexit (al 31 gennaio 2020) in mancanza di un accordo condiviso con l'Ue alla scadenza del 31 ottobre. Boris Johnson chiede lo scioglimento della Camera e lo svolgimento di elezioni anticipate il 15 ottobre. Ma il Parlamento le blocca.


9 settembre 2019: in vigore la legge anti-no deal

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Con la firma della regina, entra in vigore la legge che impone un rinvio della Brexit in mancanza di un accordo con Bruxelles. Ma il 16 settembre, quando incontra il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, Boris Johnson ribadisce che «rifiuterà, se offerta, ogni proposta di estensione» dei tempi della Brexit. Quindi per il premier britannico il divorzio con l'Ue avverrà il 31 ottobre.

24 settembre 2019: la Corte suprema contro Boris

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Con un verdetto raggiunto all'unanimità, la Corte Suprema britannica dichiara «non legale, nulla e priva di effetti» la sospensione del Parlamento, che era stata imposta da Boris Johnson fino al 14 ottobre. Il primo ministro ribadisce che la Brexit avverrà il 31 ottobre. Intanto lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, annuncia che i lavori parlamentari riprenderanno il 25 settembre.


2 ottobre 2019: offerta ultimatum da Boris Johnson

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Boris Johnson presenta all’Unione Europea nuove proposte per un accordo rivisto, al fine di scongiurare l'eventualità che il 31 ottobre il Regno Unito esca dall’Ue con un «no deal». Le proposte, dettagliate in cinque punti, sono indirettamente definite come «l’ultima offerta» a Bruxelles. Ma, dopo una riunione degli ambasciatori dei Paesi membri col capo negoziatore Ue Michel Barnier, il 4 ottobre, una nota ufficiale della Commissione dice che «le proposte del Regno Unito non forniscono le basi per concludere un accordo».


17 ottobre: nuovo accordo Ue/Regno Unito


Ad annunciarlo su Twitter è il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker: «Quando c'è volontà, c'è anche un accordo, e noi ne abbiamo uno». E il premier britannico Boris Johnson conferma, sempre via Twitter: «Abbiamo un nuovo grande accordo». Per essere operativo, il testo deve però essere approvato il 19 ottobre al Parlamento britannico, che ha respinto tre volte l'accordo raggiunto dall'ex premier Theresa May con Bruxelles. Resta poi l'incognita nord-irlandese: il partito Dup ha già annucnaito che boccerà il nuovo accordo. 

19 ottobre 2019: il rinvio parlamentare della Brexit e le acrobazie di Boris Johnson

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Nel giorno del voto sull'accordo raggiunto da Boris Johnson a Bruxelles, ecco la mossa a sorpresa del Parlamento britannico. Westminster approva (322 voti contro 306) un emendamento che chiede di rinviare l'approvazione dell'accordo al momento in cui sarà stata deliberata la legislazione necessaria per garantire un'uscita ordinata dall'Ue. Boris Johnson rinuncia a far approvare il suo accordo. A questo spunto scatta la legge, approvata il 9 settembre, che impone di chiedere un rinvio della Brexit se entro il 19 ottobre non è stato ratificato un accordo con l'Ue. Al momento, Boris Johnson dichiara di non aver intenzione di chiedere il rinvio della Brexit a Bruxelles. Ma in serata è costretto a cedere e a chiedere l'estensione all'Ue. Lo fa con una delle sue solite acrobazie. La richiesta mandata a Bruxelles è fotocopiata e priva di firma. In allegato c'è però una missiva, firmata dal premier, che si dice in disaccordo con il rinvio. Nel plico c'è infine una lettera di accompagnamento, scritta dall'ambasciatore britannico all'Ue Tim Barrow, che spiega come Boris Johnson sia stato obbligato dalla legge a mandare la lettera iniziale.

21 ottobre: il portavoce dei Comuni nega un secondo voto

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Il portavoce della Camera bassa John Bercow non autorizza una seconda votazione sull’accordo per la Brexit raggiunto da Boris Johnson e i negoziatori Ue. Bercow nega la replica del voto perché si sarebbe tenuto sullo stesso testo sottoposto a discussione e votazione del parlamento due giorni prima, il 19 ottobre. A questo punto inizia una corsa contro il tempo del governo Johnson per far approvare entro la settimana le leggi attuative dell'uscita dall'Ue e subito dopo ripresentare l'accordo.

22 ottobre: bloccata la scadenza del 31 ottobre

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Il Parlamento britannico (con 329 sì e 299 no) vota a favore dell'accordo sulla Brexit raggiunto da Boris Johnson con l'Ue. Ma in una seconda votazione rifiuta la proposta del governo di approvare il calendario affrettato dei lavori per approvare tutto il relativo pacchetto legislativo, che prevedeva solo tre giorni di dibattito parlamentare. L'accelerazione aveva come unico scopo quello di consentire a Boris Johnson di concludere la Brexit entro Halloween. «Meglio morto in un fosso che essere costretto a chiedere un rinvio della Brexit oltre il 31 ottobre» aveva detto. «Ora» scrive la Bbc, «sarà quasi impossibile rispettare tale scadenza».


28 ottobre 2019: l'Ue concede una proroga di tre mesi

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«L’Ue a 27 ha convenuto che accetterà la richiesta del Regno Unito di una estensione flessibile di Brexit fino al 31 gennaio 2020». Lo annuncia in mattinata con un tweet da Bruxelles il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, impegnato con la riunione degli ambasciatori dei 27 Stati membri. Nel pomeriggio viene messa ai voti a Westminster la mozione presentata da Boris Johnson il 24 ottobre: scioglimento della Camera dei Comuni il 6 novembre ed elezioni il 12 dicembre. Ma, per la terza volta, il Parlamento la rifiuta.

29 ottobre: via libera alle elezioni anticipate

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Anche il leader laburista Jeremy Corbyn, dopo i liberal democratici e i nazionalisti scozzesi, accetta di andare a votare a dicembre. La Camera dei Comuni avvia l'iter per l'approvazione delle elezioni anticipate: si terranno il 12 dicembre. Una data anomala, visto che l'ultima volta che nel Regno Unito si è votato a dicembre risale al 1923, cioè 96 anni fa.

11 novembre: scoppia il caso delle interferenze russe 

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In piena campagna elettorale, il Sunday Times fa una rivelazione-bomba. In un rapporto segreto della Commissione parlamentare Intelligence & Sicurezza, che sarebbe dovuto essere pubblicato a inizio novembre, sono citati i nomi di nove oligarchi russi che avrebbero versato milioni di sterline al partito conservatore, alcuni dei quali molto vicini a Boris Johnson. Tuttavia il premier ha rinviato la pubblicazione del rapporto a dopo le elezioni del 12 dicembre. Il documento contiene le prove raccolte dall'intelligence britannica sui tentativi del Cremlino di influenzare l'esito del referendum sulla Brexit del 2016.

12 dicembre: trionfo elettorale di Boris Johnson

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Alle elezioni anticipate, i Tories riscuotono un successo al di là delle aspettative: maggioranza assoluta, con uno scarto di 78 seggi. Boris Johnson annuncia: «Con questo mandato finalmente realizzeremo la Brexit».

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