Matrice interna per l'attentato di Boston
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Matrice interna per l'attentato di Boston

Nulla fa ancora pensare a un'azione di tipo islamico, piuttosto ai terroristi cresciuti in casa. L'analisi. Il video del Boston Globe e del maratoneta - Le foto - Tgcom - I dubbi degli inquirenti

Negli  anni Settanta, l’analista della Rand Corporation, Brian Jenkins, dettò  una delle leggi base per gli studiosi di terrorismo: “un terrorista non vuole che molta gente muoia. Un terrorista vuole che molta gente abbia paura”.

La  prima riflessione sugli attentati di Boston non può che partire da  questa analisi: con due bombe piazzate sui marciapiedi affollati di  spettatori della grande Maratona di Boston, i terroristi non hanno  ucciso molte persone ma hanno terrorizzato tutta l’America. In tale  contesto, far sentire oggi gli Stati Uniti meno sicuri è certo molto  utile sia per chi li combatte su scala mondiale come gli estremisti  islamici, sia per chi vuole contrastare in casa il diritto ad armarsi a  piacimento, ritenuto sacrosanto.

Prima  di avventurarci nell’analisi sui possibili autori e mandanti  dell’attentato di ieri, dobbiamo però fermarci su questo dato oggettivo:  pochi morti e oltre 140 feriti è già un fatto rilevante. Negli  attentati jihadisti in giro per il mondo, da Baghdad a Kabul, la  proporzione morti-feriti di norma è esattamente inversa: gli attentati  suicidi, le auto bomba, le IED (improvised explosive device) messe ai  bordi delle strade, uccidono decine di persone che si trovano nel loro  raggio di azione e, paradossalmente, fanno più morti che feriti.

Nel  caso di Boston è successo l’esatto contrario: il dato può anche essere  fatto risalire all’inesperienza o all’incapacità tecnica degli autori  materiali, certo. Ma questa incapacità si scontra tuttavia con una  notevole capacità di pianificazione dell’ora e dei luoghi delle  esplosioni, nonché della capacità di previsione dell’impatto emotivo  degli stessi sulla popolazione. Colpire uno dei più importanti e  popolari eventi sportivi americani è segno di un’accurata valutazione  dell’impatto emotivo del gesto, tra l’altro avvenuto in diretta tv.

Se  diamo per scontato che grazie a internet un “terrorista casalingo” può  comunque costruire un ordigno micidiale con materiali che può trovare in  qualunque negozio (vedi l’attentato in Norvegia di Anders Breivick) e  colpire usando mezzi scarsamente distruttivi, possiamo spingere  l’analisi un po’ più in là: forse chi ha agito a Boston non voleva la strage,  non voleva cioè riportare gli Stati Uniti ai giorni successivi all’11  settembre, un Paese ferito e disposto a portare la “guerra al  terrorismo” in qualunque angolo del mondo. Chi ha agito durante la  maratona di Boston voleva l’America di Barack Obama in ginocchio ma non  mortalmente ferita e quindi molto pericolosa.

Le  misure di sicurezza adottate negli USA dopo l’11 settembre rendono poco  probabile che oggi si possa verificare il paradosso che si scoprì ai  tempi degli attentati alle Twin Towers, quando il gruppo dei terroristi  di Al Qaeda potè addestrarsi tranquillamente in “territorio nemico”  prima di compiere gli attacchi. All’epoca, alcuni attentatori vennero  persino individuati - inutilmente, purtroppo - da un agente dell’FBI di  Tampa, che riferì di alcuni soggetti che “frequentavano corsi di volo ma  non erano interessati alle lezioni sugli atterraggi…”. Se, come noto,  al tempo nessuna indagine seguì, oggi tutto questo non sarebbe più  possibile.

Per tale ragione, è lecito presumere che ci troviamo di fronte al classico caso di “homegrown terrorists”,  cioè quello di terroristi nati e cresciuti negli Stati Uniti. Nel caso  in cui all’opera fossero estremisti di destra americani, allora  l’attentato potrebbe anche essere messo in diretta relazione al  tentativo del presidente Obama di limitare la manifestazione di uno dei  miti della destra americana: la libertà di acquistare e detenere senza  controlli armi da guerra.

Tutte  le ipotesi al momento restano accademiche, ma sia nel caso di un colpo  del jihad o di un’azione di estremisti “domestici” di estrema destra,  sembra che gli USA continuino a scontare gli effetti negativi di una  grave falla nel loro sistema di sicurezza: l’assenza di un servizio di sicurezza interno.

Per  anni, i legislatori americani hanno discusso sull’opportunità di  istituire un servizio capace di raccogliere informazioni sul territorio  nazionale, anche in assenza di una notitia criminis.  Il Congresso ha sempre rifiutato di accettare l’ipotesi che -  analogamente a quanto avviene ad esempio in Gran Bretagna con l’MI5 - un  organismo federale potesse “spiare” cittadini americani al di fuori di  ipotesi di attività comunque legate a iniziative criminali.

Nel  frattempo, gli attentati un effetto l’hanno già ottenuto: stamattina le  borse asiatiche hanno chiuso in ribasso. Segno, come dichiarato da un  operatore della borsa di Tokyo, che gli investitori hanno reagito alla  notizia dell’attentato tagliando bruscamente i rischi di investimento a  breve o medio termine. Come ha detto un analista della banca giapponese  Mizhuo, “questo è il tipico evento incomprensibile che ci ricorda in  modo drammatico che il mondo continua a rimanere non sicuro”.

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