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Boschi convince l'Aula ma il caso "Etruria" resta aperto

La Camera vota contro la mozione di sfiducia al ministro delle Riforme. Ma restano i timori per la sorte del padre nell'inchiesta sul fallimento della banca

Se come hanno sottolineato molti deputati nei loro interventi di oggi alla Camera a proposito della mozione sfiducia presentata contro Maria Elena Boschi per conflitto d'interessi sul caso Banca Etruria, nell'attacco al ministro delle Riforme c'è anche una buona dose di sessismo misogino nei confronti di una piacente ragazza di 34 anni oggi ai vertici della politica italiana, va dato atto a quella stessa ragazza di aver dimostrato, con la sua replica in Aula, di essere molto più brava che bella.


La Boschi alla Camera: "Io amo mio padre"

Brava perché in grado di ribattere punto su punto alle contestazioni che le sono state rivolte attraverso la mozione in questione. Non era facile. Gli ultimi giorni sono stati infatti per lei un calvario personale e politico. Chi le è stato vicino l'ha descritta particolarmente tesa e dispiaciuta per sé ma soprattutto per la sua famiglia. E tuttavia Maria Elena Boschi è stata capace di presentarsi in Aula lucida, calma e determinata.

Ha ripetuto più volte che se davvero il governo di cui fa parte avesse adottato provvedimenti di favore nei confronti del padre Pier Luigi, lei stessa si sarebbe dimessa ancora prima che qualcuno glielo chiedesse. Ha tenuto a sottolineare che né lei né i suoi parenti hanno mai goduto di una corsia preferenziale dal momento che il governo ha commissariato a febbraio, su richiesta di Bankitalia, la banca di cui il padre era vicepresidente causandone così l'allontanamento e che con il decreto del 22 novembre anche le sue poco più di 1500 azioni del valore di 1500 euro circa sono andate in fumo come quelle del padre, della madre e dei fratelli.

Ha risposto piccata a quelli che definiscono la sua famiglia “proprietaria di Banca Etruria” solo per il possesso di un pacchetto d'azioni da poche migliaia di euro. Ha chiarito che né lei né i suoi familiari hanno comprato o venduto azioni da quando lei siede al governo e che pertanto nessuna plusvalenza è stata realizzata. Ha fatto presente che tra i 7mila dipendenti “salvati” non c'è il fratello Emanuele, il quale si era licenziato già in precedenza e il cui unico legame con Banca Etruria è rappresentato dal mutuo chiesto con la moglie, una collega conosciuta quando entrambi lavoravano nella stessa banca.

Ha ribadito che “chi sbaglia deve pagare” ma che se suo padre ha sbagliato non saranno i talk show o le opposizioni che “strumentalizzano anche la morte piuttosto che risolvere problemi” a deciderlo. Ha parlato da ministro ma anche da figlia. “Io amo mio padre” ha detto senza alcuna vergogna per un sentimento che qualcuno sta cercando di farle pagare in termini politici e di cui le è stato chiesto conto (motivo della parentesi considerata da alcuni troppo sentimentale). Per dimostrare di non essere membro di una famiglia di affaristi spregiudicati, ha rivendicato le sue origini contadine, prima laureata in famiglia grazie ai sacrifici del padre che per andare a scuola percorreva ogni giorni 5 km a piedi ad andare e 5 a tornare più un'ora di treno e di cui, da figlia, si sente orgogliosa quanto le piacerebbe che un giorno lo fossero i suoi figli di lei.

“Invidie e maldicenze contro un ministro di 34 anni non mi fanno paura – ha attaccato – perché sono frutto di pressappochismo e demagogia. Per cui – ha concluso rivolgendosi soprattutto al Movimento 5 Stelle che ha chiesto le sue dimissioni - se pensate di indebolire me per colpire il governo, lasciate perdere”. Una frase che fotografa efficacemente di che natura sia e quale obbiettivo abbia l'attacco che l'ha investita: un attacco tutto politico finalizzato a screditare il governo Renzi nella sua complessità.

Alla fine, come previsto, la richiesta di sfiducia è stata bocciata con soli 129 voti a favore. Ancora meno di quelli previsti. All'appello è mancata parte dell'opposizione. I fittiani, per esempio, hanno votato contro e Forza Italia è uscita dall'Aula. Perché contraria, per tradizione, a mozioni di sfiducia individuale, ma soprattutto per non mostrarsi, ancora una volta dopo la debacle subita sulla Consulta, divisa al proprio interno tra la linea oltranzista di Renato Brunetta (che avrebbe voluto votare a favore) e quella moderata di Paolo Romani. Tanto che la Lega (che ha votato a favore insieme a Movimento 5 Stelle, Sel e Fratelli d'Italia) ha minacciato conseguenze sulla coalizione.

Adesso la domanda è: basterà aver archiviato la questione sfiducia a disinnescare la polemica? Evidentemente no. Tanto che Matteo Renzi ha già provveduto a incaricare degli arbitrati con le banche l'Anac di Raffaele Cantone baipassando le poco affidabili Consob e Banca d'Italia. Il segnale più forte, molto più forte dell'appassionata autodifesa della Boschi, è proprio questo. E tuttavia nemmeno aver preso tale decisione potrebbe essere sufficiente. Per due motivi.

Al netto della prova di forza fornita oggi in Aula, il danno d'immagine è fatto. La vicenda ha intaccato la narrazione renziana sull'alterità del renzismo rispetto ai giochetti di palazzo, agli inciuci, agli interessi con i poteri cosiddetti forti, banche incluse. E la stessa Boschi è stata colpita nel momento di massimo consenso con i sondaggi che stanno lì a testimoniarlo.

Per quanto riguarda lei direttamente, inoltre, c'è un rischio in più. Ed è stato proprio Alessandro Di Battista ha sottolinearlo, non senza qualche buona ragione, oggi alla Camera: se infatti nei prossimi giorni emergeranno “elementi nuovi” (tradotto: se il padre sarà iscritto nel registro degli indagati), cosa dovrebbe farle credere che Matteo Renzi non sarebbe disposto a sacrificare anche lei, proprio lei, pur di salvare se stesso?

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ANSA/ANGELO CARCONI
Il ministro delle Riforme e Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi con Luca Lotti al termine del suo discorso in aula alla Camera durante il voto di sfiducia, Roma, 18 dicembre 2015.

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Claudia Daconto