Il 'suicidio' di Gad Lerner
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Il 'suicidio' di Gad Lerner

Il gesto di David Rossi (che merita silenzio e rispetto) è dovuto alla vergogna, quella che manca a Lerner

“Riflessione imbarazzata in margine a un suicidio” la chiama Gad Lerner nel suo blog (leggi qui) . Il suicidio è quello di David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi.

“Quando si toglie la vita un uomo che, sia pure non di prima fila, apparteneva alla classe dirigente investita dal discredito, a me succede di provare, insieme al disagio e alla pietà, anche il bisogno di esprimere una domanda quasi indicibile: come mai così in pochi?”. Già, perché non si ammazzano anche gli altri, quelli delle foto sui giornali?

Rossi era “addentro, ma solo da comprimario uomo di fiducia dei vertici”. I veri potenti, i papaveri più alti, i vertici, quand’è che si buttano? Hanno forse perduto, per dirla con Gad, “il sentimento della vergogna? Come mai?”. Mica giusto però, non basta Rossi. “Finisce che a rimetterci siano figure secondarie come il povero responsabile delle pubbliche relazioni, vittima di una bugia colossale in cui è coinvolta buona parte della classe dirigente di Siena”. E allora, avanti il prossimo!

Ci vorrebbe un suicidio di massa? O magari il harakiri degli indagati? O dei protettori politici? O di quelli che non hanno vigilato? E se l’esempio di Rossi fosse davvero seguito da altri? No, attenzione. No, questo post è troppo strano, tanto che i fan insorgono, sono i primi a imbarazzarsi della “riflessione imbarazzante”. No, non può averlo scritto Lerner. Dev’essere un mostruoso fake. Anzitutto, Gad non avrebbe osato, “in margine a un suicidio”, assimilare Rossi (che non era neppure indagato) alla “classe dirigente screditata”.  

Quando  muore un uomo - quando un uomo muore suicida – il silenzio è d’oro. Ma, si dirà, quando muore un uomo, suicida, nel mezzo di una tempesta giudiziaria che investe una grande banca e i mondi concentrici di politica e finanza con conseguenze sui correntisti e l’intera comunità locale e nazionale, restare in silenzio è impossibile. Vero. Eppure, qualsiasi parola deve mantenere un segno di rispetto per il gesto dell’uomo che ha deciso, nell’insondabile, intima, abissale solitudine del libero arbitrio, di togliersi la vita gettandosi dalla finestra. Si resta senza fiato davanti alla vertigine di quel momento, alla forza di un tormento che arriva a sfidare la gravità, a superare l’istinto di conservazione.

Precipitare come spiccare il volo. Una liberazione.

Bohumil Hrabal, il grande scrittore praghese, ci racconta ne “L’uragano di novembre” del suo “angioletto custode” che lo vuole ancora al mondo, e quando “fa male il mondo intero e mi fa male anche il mio angelo, quante volte avrei voluto buttarmi dal quinto piano, fuori dal mio appartamento in cui mi fanno male tutte le stanze, ma l’angelo mi salva sempre all’ultimo momento, mi tira indietro”. Esiste sì una dimensione sociale del suicidio, soprattutto in un micromondo come Siena in cui Rossi era, come molti, “l’amico di tutti”. C’è chi ha osservato che “quando un uomo perde i suoi rapporti sociali, si svuota di umanità e il potenziale suicida è già un morto (civile) prima di uccidersi”. Ma c’è da stupirsi della mancata epidemia?

Sembra che nel cestino di Rossi abbiano trovato un foglio appallottolato con scritto “Ho fatto una cavolata”. Sarebbe assurdo se la “cavolata” fosse una parola di troppo sfuggita con i giornalisti, ma quello era comunque il suo lavoro, la sua vita. Che cosa ne sappiamo noi. Tutti ricordano Rossi come un bravo professionista. Una persona seria e semplice. Affabile sul lavoro e fuori. Era rimasto a vivere a Siena e conduceva una vita normale. Andava a correre al mattino, l’unica stranezza delle ultime settimane era che aveva smesso di correre. Aveva una moglie, Antonella, e una figlia. Era appassionato di storia medievale. Apparteneva alla contrada della Lupa. Elementi concreti, quasi fisici. Ma per Gad tutto questo si riduce all’appartenenza data per scontata a una “dirigenza screditata”. Una verità parziale non è verità, e la morte non esige meno che una verità assoluta. Ma quei “dirigenti screditati”… È sicuro Lerner di non aver mai avuto “dirigenti screditati” tra i suoi amici, vicini di ombrellone o sodali in politica? Gli ha mai suggerito di farla finita? E chi di noi, chi? non ha mai provato “vergogna”?

Non si riesce sempre a dire cose intelligenti. Ma è un imperativo rispettare la morte. Hrabal indirizzava i suoi monologhi a una ragazza americana dal nome buffo. “Aprilina, io alla fine penso che quando muore una persona giusta, comunque, per avere dei meriti in cielo la sua anima si trasforma in una colomba”. “Uragano di novembre” è del 1990. Sette anni dopo, Bohumil sarebbe morto precipitando dal quinto piano di un ospedale di Praga. I medici dissero che si era sporto per dar da mangiare ai colombi.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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