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(Ansa)
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Caso-Bentivoglio: ripristinato il servizio di scorta al testimone di giustizia

«Avevo saputo della revoca per telefono, ora il Tar del Lazio me l’ha restituita». Il racconto di Tiberio Bentivoglio, testimone di giustizia rimasto senza scorta (e nel terrore) per qualche giorno

Coraggioso testimone di giustizia che dal 1992 si oppone con forza alle pressioni intimidatrici della criminalità organizzata di Reggio Calabria, l’attività commerciale di Tiberio Bentivoglio, una sanitaria nel centro cittadino, si trova in un immobile confiscato alla ‘ndrangheta. «Senza scorta per oltre due settimane ho avuto paura, ma ho continuato a vivere da uomo libero!».

Tiberio Bentivoglio è un imprenditore reggino 71enne tra i primi ad opporsi alle richieste di pagamento del pizzo, e per questo fatto oggetto di una miriade di attentati estorsivi a causa dei quali, da testimone di giustizia, si è visto assegnata, nel 2011 la scorta. Il paradosso («rabbia, scriva rabbia!») è che lo scorso 23 aprile aveva ricevuto, telefonicamente, la comunicazione della revoca della misura di protezione personale, comunemente definita “scorta”, disposta dal Ministero dell’Interno – UCIS, dall’Ufficio scorte della Questura di Reggio Calabria. Il rammarico era stato forte, forse più della paura che lo aveva, inevitabilmente, assalito. «Evidentemente non era bastata una resistenza civica di trentadue anni, durante i quali, ho resistito a minacce, attentati dinamitardi, richieste via via sempre più pressanti di tangenti da parte di gruppi criminali che operano nella mia città».

La vicenda

C’è di tutto nella drammatica esistenza di Tiberio Bentivoglio: dal successo commerciale di fine anni Ottanta («Nel 1988 fatturavo 2 miliardi di lire») allo scontro personale con la malavita reggina che non gli perdonerà la scalata economica, dolosamente bloccata dai continui furti di merce per centinaia di migliaia di euro, da attentati (ignoti entrarono nel suo esercizio commerciale nel luglio del 1992, poche settimane dopo l’inaugurazione), dall’incendio dell’auto aziendale nel 1998. Con due date a rimanere impresse a caratteri cubitali nella sua vita: la notte del 5 aprile del 2003 una potente detonazione distrusse la sanitaria che gestiva insieme alla moglie Vincenza Falsone; la ferma opposizione alle richieste estorsive, oltre all’azione eclatante, diedero il via ad una lunga teoria di minacce, di avvertimenti, di inviti a miti consigli. Gli si chiedeva, insomma, di ritirare le denunce, di dimostrarsi accondiscendente con gli emissari che lo avevano preso nel mirino, e tutto si sarebbe risolto. Bentivoglio non si lascia addomesticare e la criminalità, ovviamente, alza nuovamente il tiro: accadde il 9 febbraio del 2011, quando un sicario non si fa scrupolo a scaricargli addosso sei proiettili. Uno lo colpisce ad una gamba, un altro, praticamente mortale, rallenta la sua corsa omicidiaria contro un borsello che Bentivoglio usava portare a tracolla. Trentadue anni dopo di ferma opposizione ai suoi aguzzini, si dimostra amareggiato, piegato da perdere l’equilibrio psicofisico alla notizia della revoca della sua scorta. «Ho preferito aspettare per comprendere meglio le ragioni, il senso di questa iniziativa».

La posizione della Questura di Reggio Calabria.

La Questura di Reggio Calabria, in merito alla vicenda, aveva prontamente specificato di non aver assunto unilateralmente la decisione della revoca della scorta al sig. Bentivoglio (Questura -ricordiamolo- organo posto alle dipendenze del Ministero dell’Interno e deputato alla pubblica sicurezza con competenza provinciale), ma che, invece, la revoca, era stata frutto di una decisione collegiale in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Prefetto, all’esito di una serie di valutazioni discusse e stabilite al suo interno. In pratica, a conclusione di un iter decisionale di natura prettamente collegiale, si era arrivati alla determinazione di revocare la scorta al sig. Bentivoglio, al quale l’Ufficio scorte della Questura di Reggio Calabria si era limitato esclusivamente a comunicargli la decisione.

Il comunicato della legale

«Il sig. Tiberio Bentivoglio, vittima della criminalità organizzata, che nei giorni scorsi aveva ricevuto comunicazione della revoca della misura di protezione personale, comunemente definita “scorta”, disposta dal Ministero dell’Interno - UCIS, ha adito il Tar Lazio per ottenere l’annullamento di tale provvedimento in suo danno. Il Giudice Amministrativo adìto, con ricorso patrocinato dalla sottoscritta avv. Francesca Ascanelli del foro di Reggio Calabria, in accoglimento dell’istanza cautelare ivi proposta, ha pronunciato il Decreto Presidenziale del 7 maggio 2024, con cui, ritenendo sussistenti le rappresentate ragioni di “estrema gravità ed urgenza”, ha sospeso l’efficacia della revoca della scorta, nelle more della trattazione collegiale già fissata per il prossimo 25 giugno. Reggio Calabria, 9 maggio 2024».

Con questo comunicato, dunque, l’avvocato Ascanelli ha fatto sapere di aver ottenuto un decreto presidenziale di sospensione della revoca della misura tutoria: «la strada è ancora in salita, nel senso che il provvedimento andrà confermato in sede collegiale all’udienza in camera di consiglio del 25 giugno e poi probabilmente verrà fissata la discussione del merito. La strada, dicevo, è ancora in salita, perché dobbiamo dimostrare l’esistenza dei fondati timori che fanno ritenere ancora necessario il mantenimento della misura tutoria in favore del Sig. Bentivoglio. Auspichiamo, perciò, che il Tar faccia proprie le esigenze e le ragioni del mio assistito, ed annulli l’atto impugnato. Intanto il Presidente della Terza Sezione del Tar Lazio ha ritenuto esistenti i presupposti dell’estrema e particolare urgenza, sospendendo, quindi, “inaudita altera parte” il provvedimento di revoca, in attesa dell’udienza in contradditorio. E’ una prima fase, vittoriosa, che consente, intanto, al Sig. Bentivoglio di vedersi riassegnata la scorta, nell’attesa della definizione del giudizio. Speriamo, ovviamente, vista la sua particolare situazione, che la scorta sia definitivamente riconfermata e che l’Amministrazione, alla luce del ricorso, possa riconoscere in sede di autotutela la necessità evidenziata».

La prima attestazione di vicinanza.

I primi ad alzare il caso erano stati il prete lucano don Marcello Cozzi, presidente della Fondazione “Interesse Uomo” che tutela le vittime del malaffare e del ricatto usuraio, già vicepresidente nazionale di Libera (celebre il suo impegno nella misteriosa morte di Elisa Claps, a Potenza) e quello calabrese don Ennio Stamile, già referente regionale di Libera per la Calabria, attualmente rettore dell’Uni.Ri.Mi. (Università della Ricerca, della Memoria e dell’Impegno) di Limbadi, nel Vibonese: una struttura che si occupa della destinazione a fini di lavoro, formazione ed educazione, dei terreni confiscati alle cosche locali. «Nel corso degli anni, abbiamo accompagnato Tiberio Bentivoglio nella sua coraggiosa battaglia contro l’arroganza e la violenza della ‘ndrangheta. Lo abbiamo sostenuto nei momenti difficili successivi alla sua denuncia e durante tutto il processo giudiziario contro coloro che pensavano di poter disporre della sua vita e della sua attività imprenditoriale a loro piacimento. Non lo abbiamo mai abbandonato, Abbiamo ammirato la sua costante fiducia nelle istituzioni, nonostante le avversità, e il suo impegno nel denunciare la mafia, portando avanti questa convinzione nei numerosi incontri con le scuole e in pubblico».

Sig. Bentivoglio, riannodiamo il nastro…

«Lo scorso 23 aprile, alle 13.25, al mio capo scorta arrivava la telefonata dell’Ufficio-scorte di Reggio Calabria. Mi veniva passato il telefono, pochi convenevoli, e subito quella frase raggelante: “La sua scorta è stata revocata seduta stante”. Mi trovavo a Cirò, nel crotonese, in un istituto scolastico dove ero stato invitato in qualità di testimone di giustizia, a dialogare con gli studenti che da anni sensibilizzo al tema della legalità e della lotta contro il malaffare. Risultato: avevo avuto notizia, per telefono, che la scorta mi era stata revocata».

Ma qualcuno si sarà fatto sentire nei giorni successivi!

«Per diciassette giorni non ho ricevuto nessuna comunicazione ufficiale da qualsivoglia istituzione e, nessun documento da firmare mi è stato notificato. C’è da rimanere pietrificati, di stucco, senza poter neanche ragionare, giuridicamente, sulle reali motivazioni. Non ho potuto fare altro, con i miei legali, che approntare un esposto da presentare in Procura a Reggio e un ricorso al Tar del Lazio, che ha avuto accoglimento con la sospensiva, per come spiegato dall’avv. Ascanelli. Nel frattempo, purtroppo, avevo dovuto annullare, per ovvi motivi di sicurezza, numerosi appuntamenti già organizzati ai quali ero stato invitato a partecipare per raccontare la mia storia di testimone di giustizia».

Intanto aveva ricevuto la solidarietà di chi la segue da oltre trent’anni.

«Dovrei dire “magra consolazione”, ma tradirei i tanti affezionati amici sparsi per l’Italia che da tre decenni lottano al nostro fianco. Associazioni, circoli culturali, scuole -soprattutto al Nord…- sono state, in questi giorni, al mio fianco ed è per questa cittadinanza viva e attiva che continuo a nutrire la speranza che qualcosa possa cambiare, che debba cambiare. Ho annullato conferenze e dibattiti in tutta la Calabria, in quanto muovermi senza le opportune tutele avrebbe comportato un rischio elevatissimo per me e per chi mi sarebbe stato vicino».

Inutile chiederle come ha passato questi giorni…

«Mi sono considerato agli arresti domiciliari! È stata una situazione durissima, un brutto epilogo di 32 anni di coraggiosa e testarda opposizione ad ogni richiesta estorsiva e alle sue conseguenze fatte di minacce, attentati, prevaricazioni di ogni sorta. Ho 71 anni: sono marito, padre e nonno. Come facevo a mollare? C’è stato da impazzire…».

Trenta due anni, ha detto…

«Alla vigila dell’inaugurazione di uno spazio vendita di ben 423 metri quadrati, il 14 marzo del 1992 conobbi la ‘ndrangheta in carne ed ossa, materializzatasi in due loschi figuri che bloccarono la mia auto, mi costrinsero a scendere, mi immobilizzarono. Ricordo ancora le parole di uno di essi: “adesso basta, ti stai arricchendo alle nostre spalle. Non ha mai pagato un centesimo, e d’ora in poi se vuoi continuare a fare il commerciante devi pagare, altrimenti le saracinesche del tuo negozio non le alzerai mai più”. Sarebbe stato umanamente più logico piegarsi a questa richiesta, ma la nostra decisione fu ben altra, ovviamente, decidendo di non pagare, di non dare loro il frutto del nostro lavoro e di essere uomini e donne libere».

Non pagò, ovviamente…

«Non solo, denunciai penalmente chi mi aveva messo spalle al muro chiedendomi il pizzo! Mi costituii parte civile nei processi, e fu proprio da allora che l’escalation criminale di cui fui vittima pareva non arrestarsi. Bombe, incendi, minacce, sette attentati estorsivi e il tentato omicidio di 13 anni addietro».

Vivo per miracolo!

«Tentarono di uccidermi in Aspromonte, nel mio frutteto, una zona chiaramente isolata, sparandomi 6 colpi di pistola calibro 7,65 alle spalle: tre mi raggiunsero, tre andarono a vuoto. Mi salvò la vita un marsupio di cuoio che portavo a tracolla sulla schiena, in cui venne ritrovato conficcato uno dei proiettili, rimasto incastonato nel mio portafogli. Sono rimasto zoppo, perchè uno dei proiettili mi lacerò la vena tibiale posteriore. Rischiai di morire dissanguato e da quel giorno iniziò la mia vita sotto scorta».

Eppure già dal 2008 avrebbe potuto chiedere di essere scortato.

«Il 13 giugno di quell’anno venne dato alle fiamme il nostro capannone adibito a deposito merce, a supporto della nostra attività commerciale. 500.000 euro di danni segnarono il colpo finale alla nostra attività di vendita al dettaglio e all’ingrosso di prodotti sanitari. A seguito del tracollo economico, sa cosa successe? Che lo Stato mi ipotecò l’abitazione, le banche non mi concessero fiducia, i fornitori mi abbandonarono, e la clientela evaporò all’istante. Eravamo letteralmente finiti, cancellati, come imprenditori e come persone».

Poi la lenta ripresa, anche grazie ad un immobile del tutto particolare dove avete riaperto l’attività…

«Finalmente otto anni fa l’attività commerciale -la nostra amata sanitaria- ha riaperto: si trova all’interno di un bene confiscato alla ‘ndrangheta, perché a Reggio nessuno voleva affittarmi un altro magazzino per riaprire l’attività. Ma paghiamo il fitto mensile, perchè la disciplina in materia è del tutto carente».

Anche i clienti sono ritornati?

«Dopo che le fiamme ci hanno attaccato più di una volta, la terra bruciata non è solo una forma metaforica. Ancora scontiamo l’isolamento dalla realtà cittadina. Io e la mia famiglia non siamo attori di una fiction, ma protagonisti di un incubo che si è impadronito della nostra vita dal 1992. Ma non mancano solo i clienti, ci manca lo Stato!».

Umanamente, come si resiste a tali pressioni per 32 anni?

«Non siamo eroi, che non esistono nella vita reale, né uomini coraggiosi. E’ la rabbia che ha salvato me, mia moglie e i nostri due figli. Come vivrei se fossi sottomesso realmente alla ‘ndrangheta; come vivrei se dovessi consegnare il denaro richiestomi e non potessi farlo? Invece ho paura ma vivo da uomo libero. Ho paura, ma vivo da uomo libero!».

***

Tiberio Bentivoglio è un imprenditore calabrese nato a Reggio Calabria nel 1953. Dal 1992 rifiuta ogni richiesta di pizzo, caparbio e inflessibile contro gli ’ndranghetisti, sceglie di vivere a testa alta nonostante intimidazioni e minacce: diverse volte la sua azienda viene distrutta e nel 2011 subisce anche un tentato omicidio che lo costringe a vivere sotto scorta. È stato più volte riconosciuto parte offesa nei processi come vittima della criminalità organizzata, ma preferisce definirsi un “testimone di verità in attesa di Giustizia”. Innamorato della sua terra si ostina a non abbandonarla, e la denuncia diventa la sua arma per essere un uomo libero. Diverse sue vicende sono anche raccontate nel suo libro Colpito. La vera storia di Tiberio Bentivoglio (Libera, 2012) e C’ra una volta la 'ndrangheta. Ricordi e desideri di un uomo che l'ha conosciuta (Citta del Sole Edizione, 2020).

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Egidio Lorito