Bambole, non c'è una lira
Passano i giorni, le settimane e pure i mesi ma si fa fatica a individuare un provvedimento del governo Letta-Alfano che sia stato in grado di dare una speranza all’Italia
A un certo punto è necessario non girare troppo intorno alle parole o, peggio, avventurarsi in ragionamenti contorti, ammantati o emulsionati da numeri e citazioni dotte.
A un certo punto, insomma, è d’obbligo dire la verità agli italiani. Che fessi non sono e di pazienza stanno dimostrando di averne più di Giobbe.
Un discorso che suoni più o meno così: «Cari cittadini, sapete quali e quanti sacrifici vi sono stati chiesti per mantenere i patti con l’Europa. Non siamo ancora fuori dal tunnel, non abbiamo ancora finito di pagare
le cambiali con l’Unione e tutto quello che lo Stato incassa con le tasse è già destinato a ben precisi capitoli di spesa. I vincoli di bilancio non ci consentono di fare altro, meno che mai ipotizzare una qualsiavoglia
riduzione della pressione fiscale, sia essa indirizzata ai lavoratori o alle imprese. Mettetevi il cuore in pace».
Sarebbe un bel discorso: onesto e reale. Invece non passa giorno senza l’ennesimo annuncio di un piano per far fronte alle mille emergenze del Paese.
Ma sono piani scritti sull’acqua per il motivo di cui sopra: non c’è un centesimo. E in questa situazione il governo non fa altro che rinviare o studiare, approfondire o valutare. Cambiano i verbi ma la sostanza è la stessa: il Paese è immobile. Si rinvia l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e l’aumento dell’Iva, si approfondisce il capitolo delle dismissioni del patrimonio pubblico e si valuta quale riforma dovrà mai avere la priorità.
Si ricomincia con la litania dell’abolizione delle province, che siccome la Corte costituzionale ha stabilito che non è urgente si farà con grandissima calma e quindi non si farà mai. Si discute di riforme costituzionali, ma ci si impantana non appena si sfiora semplicemente l’opportunità di mettere mano al Titolo IV della parte seconda che riguarda gli intoccabili, ovvero i magistrati. È una melina insopportabile.
Ma non è un destino ineludibile quello di vivacchiare, di continuare a gestire il Paese come se fossimo in un perenne calciomercato dove si annunciano acquisti e cessioni solo per guadagnare tempo e tenere buoni i tifosi. C’è un solo modo per fare affluire risorse fresche nelle casse dello Stato. Il governo lo sa. È un nostro pallino, al quale abbiamo dedicato la scorsa settimana una copertina: si abbia il coraggio di tagliare la spesa pubblica, d’intervenire con decisione nelle sacche dove il grasso dell’improduttività o, peggio, del privilegio abbonda.
L’alternativa è quella di rassegnarsi alla poco nobile logica del tirare a campare. E passare alla storia come un inutile governo di transizione.