L'importanza di chiamarsi Selvaggia
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L'importanza di chiamarsi Selvaggia

Arfio Marchini incontra la blogger Selvaggia Lucarelli

Fino a qualche anno fa, l’unica Selvaggia che ci ricordavamo collettivamente era la protagonista di “Sapore di mare”, interpretata da Isabella Ferrari, che tra fulmini esistenziali e saette dell’anima passava da Massimo Ciavarro a qualche altro protagonista del cinema dell’epoca. Poi è arrivata Selvaggia Lucarelli, blogger, giornalista, una bellezza irruenta, con scarpe di un certo tipo, che mai scadono nella pacchianaggine. Polemizza spesso e volentieri ed è la continuazione più riuscita di un certo tipo di giornalismo che un tempo fu utile al nostro Paese. Su Twitter ha più follower degli abitanti di San Marino e tra il mare magnum dell’inettitudine virtuale, come una buona schermitrice sa usare le parole giuste, sempre o quasi. Ha scritto un libro “Che ci importa del mondo” (Rizzoli, 2014), un romanzo appassionato e scritto in maniera decisa, mai ruffiana. L’ho intervistata e devo dire che ne è valsa la pena.

Viola, la protagonista del tuo libro è una donna che cela dietro un'apparente durezza, un manto di insicurezze e di mancanze. A tuo avviso, nel mondo lavorativo e sociale, quanto le donne peccano di sincerità per non perdere terreno nei confronti degli uomini?

Non sappiamo ammettere che ci dà più fastidio avere un superiore donna che un superiore uomo. Chiediamo le stesse opportunità, ma quando queste diventano gerarchia ci spaventano, ci irritano, ci destabilizzano. E quando non amiamo una collega o un superiore donna sappiamo essere più becere e sessiste degli uomini.  Dovremmo cominciare a riconoscerlo con onestà e lavorare sui nostri limiti, che sono tanti.

Mi ha colpito molto la parte in cui narri della maternità della protagonista, forse l'unica parte interamente autobiografica. Com'è stato descrivere quel groviglio di emozioni, di complessità e di sentimenti?

Semplice, perché la maternità è l'aspetto più entusiasmante e stimolante della mia vita. E forse anche i ruolo in cui mi muovo meglio. Ci tengo però a dire che il libro non è completamente autobiografico, mio figlio Leon è meno bigotto di Orlando e Viola non si rovescia il latte sulla tuta-pigiama ogni sacrosanta mattina. Per il resto, c'è la sorpresa quotidiana dello scoprire il mondo attraverso gli occhi vivaci dei bambini, c'è il timore di non essere sempre all'altezza del ruolo, c'è un bambino che mi assolve costantemente con la sua ironia per il mio essere imperfetta. Un'imperfetta che si impegna e si diverte molto a fare la mamma però.

La protagonista interagendo con Orlando il figlio, sul delicato tema del calcio, lo asseconda e lo giustifica,mentendo spudoratamente sulle sue doti e dopo lo consola in maniera degregoriana. Non trovi che la poca sincerità delle madri faccia crescere dei figli ineducati ai sentimenti?

Io a mio figlio ho deciso di tacere solo i piccoli conflitti col padre, quando capitano, perchè credo che preservarli da dispiaceri gratuiti nell' ambito familiare sia un'attenzione utile e generosa. Per il resto, gli regalo sincerità perchè è giusto e perchè lui la pretende. Leon non accetta la lusinga facile. Quando gli dico "Che bel disegno!" lui spesso risponde "lo dici perchè sei mia madre!".  Chiede l'onestà e ha ragione.  Sa di non essere Caravaggio e non vuole che io glielo lasci credere. Le recite costruiscono falsi mondi che non proteggono i nostri figli e non gli forniscono gli strumenti per difendersi.

"Io ero in cucina a preparare la colazione e avevo acceso come sempre la tv per riempire la stanza di un rumore che coprisse il silenzio faticoso della domenica, che per me dall'adolescenza in poi, non ha mai perso quell'alone da messa appena finita". Le domeniche sono così solo per Viola o quell'alone c'è anche nell'esistenza di Selvaggia?

Un po' inquieta lo sono sempre, anche di lunedì, questo lo so. Ora che mi avvicino ai 40 poi la situazione va peggiorando, perché comincio ad avere qualche rimpianto e ai rimpianti non ero preparata.

Nel libro c'è una ricerca di equilibrio, che passa per la bellezza. Come è stato tenere insieme così tanti temi intimi e al tempo stesso universali?

La bellezza ultimamente è un termine un po' abusato da Sorrentino in poi, ma io alle parole "bellezza" e "ambizione"  ho sempre creduto fortemente. Tendere al bello - nelle relazioni, nel lavoro, nella vita che decidiamo di vivere - è qualcosa a cui tendere sempre. Ho tenuto insieme tanti temi perché nella mia vita non c'è una gerarchia di importanza tra temi, non c'è una classifica che mette in ordine amore, maternità, amicizia, lavoro. Dire "mio figlio è la cosa più importante" è una banalità. E' stabilire che esiste una classifica, mentre a me piace pensare che nella mia vita ogni sfera dia linfa a un'altra. Mio figlio arricchisce il mio lavoro perché mi dà mille spunti, il lavoro arricchisce mio figlio perché ha una madre realizzata e piena di cose da raccontargli. E così via.

Non ti domanderò di tette, perché sono un gentiluomo. Mi spieghi invece l'assioma che un personaggio del libro snocciola: "Ci sono tre cose irreversibili nella vita, ficcatevelo bene in mente: la morte, le smagliature e le frasi dette da ubriachi".

Beh, sulla morte non aggiungerei nulla che non abbiano già detto dalla filosofia greca in poi. Sulle smagliature non direi nulla che non abbiano detto dalla chirurgia estetica in poi. Sulle frasi dette da ubriache non dirò niente perché rischio molte querele.

Mi dici tre cose che odi profondamente?

Odio chi sdogana il brutto convinto che sia una cosa molto figa. Tipo il salotto radical in cui inviti Gigi D'Alessio per mescolare le carte o il critico che a un certo punto dice quanto erano fighi i film der Monnezza. A quel punto preferisco la brutta tv . Nel mio libro si parla di Giusy Speranza, questa conduttrice di salotti trash che non è tanto l'incarnazione di un personaggio specifico (è un mix di almeno dieci conduttori e conduttrici), quanto della tv che cavalca l'onda emotiva del momento, senza distinguere tra un reality e l'omicidio. Quella è brutta tv e basta. Poi un giorno arriva il critico di turno in vena di esercizi di stile e virtuosismi retorici e capovolge tutto, dice che "quella tv è bellissima perché eleva il brutto fino a farlo diventare bello". E così, si sdogana. Odio i leccaculo e i PR virtuali di professione. Quelli che passano le giornate a lisciarsi i potenti contando su lusinghe becere tipo il retweet o il cinguettio ruffiano. E poi odio le ballerine, è evidente.

Mi dici tre cose che ami profondamente?

Amo le domande di mio figlio. Scrivere e tutti quelli che scrivono esponendosi e prendendo posizioni nette. La passione quando la ritrovi in tutto quello che fai e che vedi.

E' dura essere "Selvaggia Lucarelli" e per un giorno vorresti essere "Lucarelli Selvaggia"?

E' dura essere me solo perché non mi godo mai nulla fino in fondo. Cerco sempre la crepa, mi perdo nel dettaglio, nell'imperfezione. Però a scovarle, le imperfezioni, mi diverto troppo, anche se poi magari mi perdo lo spettacolo, ma vedo solo i pezzi che mi interessano.

Siccome non sono egocentrico, ma narciso si, hai la possibilità di rivolgermi una domanda.

Sai mica che fine ha fatto Nina Senicar?

Nina tornerà nel 2016  sulla tv serba recitando nel film Macori iz slivnika . Sarà un grande giorno per il cinema. 

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Arfio Marchini

Arfio Marchini nasce a Roma. Già "Uomo dell'anno" per molte donne, sceglie di impegnarsi nell'agone politico per  perché ognuno deve fare la sua parte. Vorrebbe  più spazio per il polo e per il golf. Sogna una città e una regata di vela sul Tevere. Per i poveri ha in mente delle giornate della ricchezza. Il suo motto? Roma ti amo.

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