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Allione e Calabresi: colpevoli “normali”

Riflettevo qualche giorno fa su due figure casualmente incrociatesi, e per motivi diversi, sullo schermo televisivo: Maurizio Allione e il Commissario Luigi Calabresi. E cosa avranno in comune, verrebbe da dire, il congiunto della famiglia sterminata a Caselle per mano …Leggi tutto

Riflettevo qualche giorno fa su due figure casualmente incrociatesi, e per motivi diversi, sullo schermo televisivo: Maurizio Allione e il Commissario Luigi Calabresi.
E cosa avranno in comune, verrebbe da dire, il congiunto della famiglia sterminata a Caselle per mano di uno sfaccendato qualunque e il Commissario di polizia caduto sotto i colpi dei killer di Lotta Continua nel cuore degli anni di piombo?
Sono stati entrambi vittime, il primo per sua fortuna solo metaforicamente, del pregiudizio assurto a costume di un’opinione pubblica sempre bramosa di colpevoli “inaudita altera parte”. Un pregiudizio spesso becero, a volte figlio di mera ignavia, o ancora raffinato ed intellettualmente giustificato da pretese superiorita’ cognitive ed antropologiche.
Pensate al giovane Allione. Incarnava il prototipo del colpevole perfetto e non solo per quel riflesso lombrosiano che talvolta acceca anche gli osservatori piu’ equilibrati. 29 anni, disoccupato senza arte ne parte, batterista di poca fortuna di un gruppo underground e fidanzato con una ragazzetta con il piercing al naso. Se a cio’ si aggiunge che mentre i genitori morivano lui si trovava in vacanza magari ad inebriarsi di alcol e droghe (comportmento sempre affine allo stereotipo disegnato dall’immaginario collettivo) il cerchio poteva ritenersi chiuso.
Una soluzione immediata per un caso ad alto impatto emotivo. Un modo per definire in fretta indagini e tacitare coscienze. La giustizia trionfa e un colpevole e’ in carcere. Fine della storia.
Poi scopri che l’assassino e’ il fidanzato della domestica e ti stupisci di non aver subito pensato ad Agatha Christie, “the butler did it”, ci ridi sopra e volti pagina.
In fondo nessuno sente di dovere scuse o giustificazioni ad un Allione qualunque. Certamente non il Corriere della Sera che solo qualche giorno prima della svolta nelle indagini impaginava titoli ed articoli definitivi.
Cosi’ come polverose sono le pagine chiuse sulla morte di Luigi Calabresi, alla cui memoria la fiction televisiva non rende proprio un gran merito. In fondo e’ stato solo la vittima del padre di tutti i pregiudizi, di una sentenza scritta nelle piazze, tra i collettivi studenteschi, in una gran parte della societa’ di quegli anni, suggellata da ben 800 firme del meglio dell’intellighenzia nostrana.
Strano tipo il Commissario Calabresi, uno che non girava armato e che piu’ che alla carriera teneva alla famiglia. Tremenda quella sua normalita’ e quel suo fare dialogante cosi’ avversi all’immagine del boia in divisa mano dello Stato tiranno, del nemico perfetto da abbattere in nome dell’unica verita’ possibile.
Ancora oggi, a distanza di piu’ di quarant’anni, i distinguo si sprecano, i sofismi abbondano e per una non irrilevante quota di ben pensanti, scienziati, premi nobel e cineasti agli assassini di Calabresi, che hanno ottenuto un numero di processi e revisioni impensabili anche per la piu’ generosa legge ad personam odierna, una forma di indulgenza plenaria andrebbe concessa a prescindere.
Un uomo Calabresi, che, in fondo, ha pagato per la sua “normalita”. Cosi’ come “normale” era l’Allione presunto colpevole. Ecco, forse la parola “normalita” li ha incrociati ai miei occhi. Quella stessa normalita’ di cui tanto avremmo bisogno per confinare rancori e pregiudizi fuori dal recinto dei nostri sentimenti.

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