Alessandra Mussolini e la vergogna senza fine
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Alessandra Mussolini e la vergogna senza fine

Il caso delle baby-squillo ha scatenato il peggio dell'opinione pubblica ma anche del mondo dell'informazione. Riflettiamoci - Gli attacchi su twitter - Alessandra, vittima non colpevole

Mi vergogno. Ho letto gli articoli sui quotidiani e i tweet sulla vicenda che coinvolge Mauro Floriani, il marito di Alessandra Mussolini. Una vicenda di baby-squillo. Squallida come i fatti di cronaca che riguardano personaggi noti o anche no. Ma è chiaro che qui non è Floriani a stuzzicare la curiosità dei giornalisti e i sarcasmi del web. Qui è Alessandra, qui è la Mussolini, parlamentare di centro-destra e nipote del Duce. Solo che lei è quella che non c’entra. Richiamare i tradimenti del nonno, affondare la penna nel colore della storia ricamando su un suo personalissimo 25 luglio, insistere sulle battaglie di Alessandra come deputata contro la pedofilia, azzardare una legge del contrappasso evidentemente fraintesa nel suo significato (qui non c’è alcuna legge del contrappasso in azione), mi urta. Mi disgusta. Non mi piace. 

Non mi raccapezzo più. Sento (la sentivo da tempo) una crisi d’identità professionale. Mi vergogno come giornalista, mi vergogno di certi miei colleghi, mi vergogno della professione di cronista per ciò che è diventata. Un esercizio di maniera che affonda nel gossip, nell’indifferenza etica, nella morbosità pornografica. Mi vergogno per i danni che riusciamo a cuor leggero a produrre nella coscienza dell’opinione pubblica, ma prima ancora per il male che le nostre parole possono infliggere a una famiglia, a una donna, ai suoi figli. 

Leggo le cronache e inorridisco. Detesto l’assedio ai cancelli di una villa privata con l’obiettivo di stanare un padre e una madre circondati dai figli (la cui presenza non riesce neppure a fungere da scudo umano all’assalto). Quel figlio e quelle due figlie in giovane età non meritano l’accanimento giornalistico al limite dello stalking. Gli appelli del Garante della privacy vengono citati in fondo ai pezzi come fossero solo un altro elemento di cronaca, un orpello, una notiziola, non un invito a riflettere sul proprio lavoro, sulla deontologia professionale, sul pilastro della propria umana sensibilità, sul rispetto dovuto ai minori. Un trascurabile consiglio, niente più. Da cestinare nella chiusa dell’articolo.

E poi, ancora, mi colpisce che questo accanimento possa consumarsi grazie alla trascrizione e divulgazione a mezzo stampa di interrogatori con tanto di virgolettati. Quindi mi vergogno non solo per i giornalisti, i miei “colleghi”, ma anche per tutti coloro che li hanno alimentati, foraggiati, aiutati a avere particolari piccanti che dovrebbero restare riservati. Sui quali sarebbe giusto e umano stendere un velo di pietoso silenzio. 

Non fanno parte delle sanzioni comminate dalla legge (oltretutto prima di qualsiasi processo) la gogna mediatica e l’assedio dei giornalisti a casa propria mentre tornano papà e mamma con i figli da scuola. Ecco perché sospetto che siamo noi cronisti, a volte, i nuovi barbari. Espressione di una barbarie che ci circonda. Siamo noi gli stalker e gli insensibili. Forse, in qualche caso, i potenziali criminali.  

PS: Mi chiedo chi abbia deciso di divulgare il nome di Floriani ma non quello di altri protagonisti dell’inchiesta come l’anonimo “funzionario di Bankitalia e il figlio di un parlamentare”. Lo hanno deciso i giornalisti o chi li ha generosamente premiati con pacchi di carte giudiziarie grondanti lacrime e squallore?

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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